Editando «Nina sull'argine»: l'incontro con Veronica Galletta raccontato dalle corsiste
Nella primavera del 2021, durante il percorso di formazione in editoria, abbiamo organizzato un incontro di editing in cui i partecipanti avrebbero letto un manoscritto selezionato da Fabio Stassi e incontrato chi l’aveva scritto, esponendo le loro opinioni e proponendo, laddove lo ritenessero utile, delle modifiche. L’autrice coinvolta era Veronica Galletta, e il manoscritto sarebbe stato pubblicato di lì a qualche mese con il titolo di «Nina sull’argine».
Abbiamo chiesto alle corsiste di ricordare quell’incontro e di raccontarci che cosa si prova a fare un lavoro di editing su un romanzo finalista al Premio Strega.
Veronica Galletta tornerà nei nostri corsi per il modulo di narrativa Paesaggi, città e case, dedicato alla scrittura dei luoghi.
Embrione.
Leggere «Nina sull’argine» quando ancora cercava la propria forma definitiva è stata una scoperta. In primis dell’autrice, donna disponibile al confronto e interessante a livello umano, e poi del suo modo di raccontare la terra e la dimensione femminile dell’amore dolente.
L’averci concesso di fare pratica sul suo testo senza risentirsi delle possibili critiche, ma anzi cogliendo il potenziale del confronto con dei lettori zero come eravamo noi, è stato un privilegio. Ci ha permesso di imparare, di comprendere. La scrittura è un processo faticoso che richiede tempo e pazienza. Lavorare con Veronica Galletta è stato soprattutto questo, una dimostrazione di fiducia e di pazienza. Di questo non posso che esserle grata.
Nascituro.
Oggi il libro è finalista al Premio Strega. Ho esultato vedendolo in finale, perché credo ci sia bisogno di storie così. Veronica parla di acqua, di terra, di sassi, di mani che lavorano, di fatica, ma anche di ricordi e di sentimenti. Nina, la protagonista del libro, sembra partorita da una penna sudamericana, dalla quale ti aspetti anche un po’ di magia, e in questo libro di magia ce n’è tanta solo che è una magia nostrana, vicina, presente.
«Nina sull’argine» è un libro profondamente femminile nonostante sia popolato da uomini di tutti i tipi, non solo perché la scrittrice è donna e anche il suo personaggio principale lo è, ma soprattutto per questa natura aspra che disegna paesaggi intensi e per l’acqua del fiume che scorre portando con sé i giorni sull’argine di Nina.
Diana Chiarin
Conoscevo Veronica come “matrigna” delle Donne Difettose e sapevo che il suo primo romanzo aveva vinto un premio importante. Per questo motivo ho apprezzato il dialogo con lei e Fabio Stassi, nel quale da “allieva” sono diventata una vera e propria “lettrice professionista”. Ho discusso senza vincoli sia i punti che ho ritenuto di forza che quelli di debolezza in un testo che già aveva una sua struttura e coerenza interna. Fabio è stato generoso nel raccontare il lavoro precedente a quella versione, e Veronica ha ascoltato attivamente ogni commento, durante e dopo il corso.
Sono felice del successo del romanzo perché in esso la scrittura tecnica si fa letteratura. E’ un tema che mi sta a cuore perché non ho una formazione umanistica e il mio linguaggio naturale è fatto di grafici e sistemi di equazioni. Mi piace l’equilibrio nella scrittura di Veronica, fatta sia di calcoli ingegneristici che di grandi libertà, per esempio l’abolizione delle virgolette e l’inserimento dei fantasmi. Mentre la protagonista innalza un argine, l’autrice abbatte muri. Mi pare l’atteggiamento giusto per fare ancora tanta strada. Buona fortuna!
Ilaria Petrarca
Quando al corso di editing ci hanno chiesto se volevamo leggere un testo in via di pubblicazione e parlarne con l’autore, io sono stata molto contenta. Dopo aver letto un libro, rimango spesso con delle domande che mi piacerebbe porre allo scrittore: finalmente ne avevo l’occasione.
Non avendo esperienza nel leggere manoscritti, mi sono avvicinata alla lettura (e al fare delle riflessioni sul testo) con un po’ di timore.
Il manoscritto di «Nina sull’argine» aveva la potenza di una scrittura rocciosa: mi faceva venire in mente un sentiero di montagna, uno di quelli pieni di sassi, dove per arrivare alla cima devi sicuramente sbucciarti le
ginocchia.
Durante l’incontro ho sentito la volontà dell’autrice di mettersi in gioco e accogliere i nostri commenti: ho l’immagine di Veronica Galletta china sul quaderno ad appuntare tutto quello che le dicevamo (girando una ciocca di capelli per concentrarsi meglio). Non deve essere stato semplice sentire dei perfetti sconosciuti discutere della propria creazione, grazie Veronica per l’opportunità di aver letto il tuo manoscritto e aver visto «Nina sull’argine» crescere.
Pamela Frani
La prima sensazione che ho avuto come corsista, entrando virtualmente nella casa editrice minimum fax, è stata quella di trovarmi in un luogo accogliente, familiare, dove la conoscenza dei libri e del loro percorso non è un sapere esclusivo, ma condiviso.
E sono rimasta stupita della naturalezza con cui ci è stato proposto di collaborare, come esercizio, all’editing di un libro che sarebbe uscito dopo qualche mese, quel «Nina sull’argine» di Veronica Galletta che in poco tempo ha fatto tanta, meritata, strada.
Mi sono accostata alla lettura del manoscritto con curiosità e gratitudine e fin dalle prime pagine mi sono accorta che Nina non avrebbe preso polvere sugli scaffali delle librerie. La parte migliore di quella esperienza è stata, poi, poter riportare le proprie impressioni direttamente all’autrice, che ha ascoltato le osservazioni che le venivano fatte con attenzione e semplicità, dando a ciascuno il privilegio di poter dire la propria e, a distanza di tempo, provare il brivido di sfogliare il libro pubblicato per vedere se contiene, tra le righe, anche quei pensieri espressi in un pomeriggio di inizio primavera.
Letizia Badioli
Una confessione.
Ho affrontato la prima lettura di «Nina sull’argine» con la pedanteria di un’ispettrice dell’agenzia delle entrate, pronta a segnalare l’imprecisione più insignificante. Lo confesso: ero lì pronta con una checklist a lato e in mano l’evidenziatore delle cose da rivedere. Non avevo cattive intenzioni, la mia era solo una goffa ambizione di professionalità, che ho sempre fatto coincidere con due parole: metodo e analisi. È stato dunque piuttosto spiazzante arrivare a fine lettura senza aver sfiorato nemmeno un rigo, senza aver scritto nemmeno un commento. Mi sono ritrovata, invece, con tanti punti esclamativi a margine e con la mia emotività completamente stravolta. Ho riletto il manoscritto con più calma e ho provato a decodificare le cose che mi avevano colpito di più. Innanzitutto, la forza della protagonista: Nina è un’ingegnera incaricata di supervisionare i lavori per la costruzione di un argine nei territori dell’alta pianura padana. Un lavoro già di per sé complesso e pieno di insidie, che deve portare a termine nonostante sia molto provata dalla fine di una storia importante. La ricostruzione interiore di Nina si sovrappone alle attività del cantiere, in un turbinio di emozioni contrastanti che attraversa le stagioni, dialoga con il paesaggio e con i suoi abitanti (che, dal canto loro, sono circondati da un’aura di strana malinconia). Ma Nina è anche una donna che abita il suo tempo, una cittadina del mondo che non rinuncia alle sue radici identitarie siciliane, di cui rivendica lo spirito senza mai cedere alla provincialità o alla nostalgia.
La seconda cosa che mi ha colpito è stata la grande capacità mostrata da Veronica Galletta nell’affrontare un tema trascurato tanto dalla narrativa quanto dalla cronaca, quello dell’etica del lavoro, del conflitto tra integrità e superficialità (quest’ultima spesso complice della disonestà). Nina si assume ogni responsabilità, è sensibile alle questioni di sicurezza, insofferente alle schermaglie politiche, sempre sul piede di guerra, isolata perché lavora secondo le regole. Che sia donna o uomo non importa: qui si va ben oltre la questione di genere (che non è certo trascurata). In questo senso, ho subito pensato che «Nina sull’argine» avesse valore ulteriore a quello letterario, quello proprio di un romanzo civile e militante.
Infine, c’è la lingua. Ho riflettuto a lungo sul fatto che, alla fine, sono proprio questi i libri destinati a sopravvivere, quelli cioè che affrontano la contemporaneità senza adagiarsi sulla consuetudine stilistica, ma provano a valicare i confini del tempo e dello spazio attraverso l’autenticità della scrittura. In questo caso, non solo lo stile riesce a restituire con forza la trasfigurazione del paesaggio nel tempo ma, soprattutto, armonizza il linguaggio tecnico-ingegneristico con gli scossoni dell’anima: il risultato è un effetto graffiante sulla sensibilità di chi legge, che ne viene fuori spiazzata e confortata allo stesso tempo.
Carmela Fabbricatore
Una delle prime volte che ho avuto per le mani un manoscritto in fase di lavorazione è stato in occasione del percorso di formazione in editoria di minimum lab. «Nina sull’argine» era da poco approdato alla redazione di minimum fax. Fabio Stassi, editor di narrativa italiana, e Veronica Galletta, autrice del libro, stavano intensamente lavorando sul testo in vista della pubblicazione e noi allievi siamo stati coinvolti: abbiamo fissato un incontro durante il quale ognuno di noi ha espresso le proprie impressioni. Ricordo che l’incontro, alla fine, è stato un confronto formativo e stimolante al contempo, abbiamo riflettuto insieme sulle tematiche che il libro di Veronica affronta, sui punti di forza e di debolezza, ma principalmente ci siamo soffermati sulle emozioni che suscita. Poiché, sebbene io non fossi tanto esperta da prevedere il successo che si sarebbe guadagnato di lì a poco, sentivo qualcosa di vibrante e vivo nelle vicende di Caterina, nelle sue sfide quotidiane e nella volontà di trasformare un cantiere in un’opera compiuta con un’impalcatura stabile, nonostante le responsabilità e le difficoltà. Il punto, infatti, è che c’è una tensione alla costruzione che nutre costantemente la storia, un tentativo continuo di autodeterminarsi in un contesto lavorativo perlopiù appannaggio maschile. In senso lato, la costruzione riguarda la vita di Caterina, la ricerca e la rinascita.
Poi ci sono le sensazioni personali, la sintonia che si genera tra un lettore e un libro, quello, insomma, che l’autore riesce a raccontare a quel lettore, che trascende la tecnica o lo stile, ma riguarda il vissuto comune. Io ho sentito lambire i confini della Sicilia, dove sono nata e dove anche Veronica e Caterina sono nate, e il bisogno diffuso di emanciparsi da una terra difficile e per molti aspetti svantaggiata, ma anche la resistenza a rimanere luogo di conforto e anello di congiunzione con un altro immaginario che possa rievocarne l’essenza.
Alessia Quartarone
«Nina sull’argine»: impressioni di un testo che vede al centro una donna e al suo argine un universo di incontri.
Lo stile di scrittura procede lento e si sofferma lì dove si vuole porre attenzione. Non si tratta di un corso impetuoso di parole, quanto piuttosto di un procedere sinuoso tra pensieri e incontri.
Di questo andamento ne beneficia il lettore. Lo scorrere di parole, paragrafi, pagine e capitoli non si affolla né si affretta, ma si sofferma con debita leggiadria su tematiche tipiche e topiche sulla consapevolezza di sé.
Un libro profondo e stimolante in ottica di percezione di sé, riflessione e
autoconsapevolezza, che accompagna il lettore in notti di illune solitudine in compagnia di una buona lettura.
Mariagrazia Coco
Tre sono gli elementi che mi erano rimasti dentro già alla prima lettura di «Nina sull’argine» (che allora si chiamava «Sull’argine» e il titolo, ricordo, fu motivo di ampia discussione): i personaggi profondi e veri, l’ambiente protagonista e la lingua curata, necessaria. La lingua, ricordo, mi aveva particolarmente colpita per la sua precisione, per essere tecnica senza respingere il lettore.
Pensai che per Nina la costruzione di quell’argine fosse di vitale importanza poiché attraverso di esso lei trova la forza di costruirne altri per difendersi dalle persone e dalle emozioni che la fanno soffrire, dagli eventi nefasti, dalla vita stessa.
Abbiamo lavorato con Veronica in diretta e mi ha stupita per la sua voglia di ascoltare e prendere in considerazione le nostre opinioni, per ringraziarci ogni volta che qualcuno proponeva un dubbio, una modifica, una virgola in più o in meno. Credo avessimo intuito che il romanzo era speciale. Mi piace l’idea di averlo letto in anteprima, di averlo conosciuto come sono i manoscritti: diamanti grezzi che cesellandoli e avendone cura brillano sempre di più.
Lucia Zago