Un incontro sull’editore Formíggini: la lezione aperta di Dario De Cristofaro e Gabriele Sabatini

Un incontro sull’editore Formíggini: la lezione aperta di Dario De Cristofaro e Gabriele Sabatini

Come da tradizione, l’edizione 2022/2023 del percorso di formazione in editoria è inaugurata da alcune lezioni aperte utili a introdurre i temi che verranno affrontati durante l’anno. Questo è il racconto dell’ultimo incontro dedicato allo storico editore Angelo Fortunato Formíggini a cura di Dario De Cristofaro, docente di editing, e di Gabriele Sabatini.

di Anna Paola Caccavo

Mercoledì 19 ottobre si è tenuta l’ultima delle lezioni aperte online pensate per introdurre il percorso di formazione in editoria di minimum fab. Dario De Cristofaro (direttore editoriale di Italo Svevo) e Gabriele Sabatini (editor di Carocci) ci hanno accompagnato in un viaggio lungo le tappe più rilevanti della carriera dell’editore modenese Angelo Fortunato Formíggini, con un’attenzione particolare alle consonanze tra il suo modo di fare editoria nei primi del Novecento e l’attualità di questo mestiere.

Diciotto piccole lezioni di editoria

L’incontro di mercoledì si è aperto con la presentazione del libro Lezioni di editoria a cura di Gabriele Sabatini, edito da Italo Svevo, un titolo particolarmente indicato a concludere il ciclo di incontri che introducono il percorso annuale di formazione in editoria di minimum fax. Si tratta di una raccolta di diciotto articoli selezionati dalla rivista «L’Italia che scrive» fondata da Angelo Fortunato Formíggini nel 1918 in cui l’editore modenese tenta di spiegare il proprio mestiere ai non addetti ai lavori. Si tratta di una rivista estremamente interessante perché nasce in un momento in cui l’informazione libraria italiana era abbastanza frammentata e ci offre, grazie anche alla pratica di eseguire sondaggi e fare ricerche sul campo, uno spaccato sul mondo editoriale dei primi del Novecento.

La ragione che ha spinto alla pubblicazione di questo volume, edito nella collana «Biblioteca di Letteratura Inutile», è da ricercare nello spirito stesso che anima la collana, quello cioè di pubblicare libri che parlino di editoria. La scelta di raccogliere alcuni scritti di Formíggini è quanto mai felice perché si tratta di una figura che ha un grande valore storico, come uomo e come editore, e che può essere assunta come modello per coloro che lavorano o desiderano lavorare nell’editoria oggi. Molti dei problemi che ha dovuto affrontare e molte delle soluzioni che ha adottato possono essere d’ispirazione a quanti si trovano a svolgere la sua stessa professione, soprattutto nell’ambito della piccola e media editoria. Lezioni di editoria (il cui titolo riprende alla lettera l’incipit di alcuni articoli) è, a detta di Dario e Gabriele, non solo interessante ma anche molto divertente a partire da com’è realizzato (le pagine sono attaccate, e vanno tagliate durante la lettura, come si faceva un tempo) per finire al contenuto degli articoli selezionati.

Formíggini usa la rivista da lui fondata come spazio per affrontare problematiche tecniche ma anche questioni più divertenti come quella relativa alla consuetudine di richiedere libri omaggio, pratica impensabile per qualsiasi altro prodotto commerciale, o alla pretesa da parte degli autori di un riscontro per i propri manoscritti. A proposito della prima usanza possiamo prendere in prestito le parole dell’editore stesso che scrive: «A nessuno parrebbe lecito chiedere in omaggio ad un droghiere un’oncia di pepe né a un farmacista un cartoccio di sale inglese. Perché moltissimi non si accorgono che chiedere in omaggio un libro ad un editore è sconveniente?». La figura di Formíggini è quella di un professionista a tutto tondo, con una conoscenza editoriale completa e che si occupa di ogni dettaglio, dalla scelta della carta alle problematiche relative alla tipografia, dalla promozione alla vendita passando per i contatti con autori, librai e giornalisti. È, insomma, un punto di riferimento per ogni ambito della filiera editoriale, nonché un uomo straordinariamente all’avanguardia. Egli ha saputo guardare al futuro del libro con occhio acuto anticipando temi estremamente attuali come quello della lettura digitale o come il problema della reperibilità della carta.

Storia di un editore

Dopo alcune considerazioni iniziali, utili a introdurre il personaggio, abbiamo ripercorso con Gabriele le tappe più rilevanti della vita di Formíggini intrecciando la dimensione privata con quella professionale e analizzando una carriera che dal 1908 si conclude nel 1938, anno in cui in Italia vengono promulgate le leggi razziali che lo conducono, ebreo, al suicidio. Si toglie la vita lanciandosi dalla Ghirlandina, torre modenese la cui immagine, realizzata da Maurizio Ceccato, è stata scelta non a caso come copertina del volume. Il giornalista Ansaldo definisce il suicidio di Formíggini come «il suicidio più famoso del ventennio», un’affermazione che fa capire quanto, nonostante i tentavi di nascondere l’episodio, questa figura sia stata importante e quanto simbolica sia stata la sua morte.

Formíggini nasce a Modena nel 1878 da una famiglia ebrea da sempre integrata nel tessuto sociale cittadino, una famiglia molto in vista che poteva vantare come antenati banchieri e gioiellieri alla corte estense. Esordisce come editore nel 1908 attraverso un evento che contribuisce ad organizzare, la Festa Mutino-Bononiense, pensata in memoria di Alessandro Tassoni, autore del poema La secchia rapita, come momento di riappacificazione tra Modena e Bologna (la Secchia è una burlesca rievocazione della storica rivalità tra le due città vicine, e mette in scena un momento di riscatto per i modenesi nei confronti di Bologna). Ma cosa ha a che fare una festa con la sua attività di editore? Questo momento fornisce a Formíggini l’occasione per dare alle stampe i suoi primi due volumi: La secchia rapita, un piccolo libretto dall’aspetto di incunabolo e Miscellanea Tassoniana.

Il volume della Secchia è dedicato a sua moglie Emilia, figura per lui fondamentale, grande pedagogista e sua collaboratrice, che gli sarà affianco fino alla fine e che riuscirà, con l’aiuto del direttore della biblioteca estense, a mettere in salvo le sue carte nonostante il tragico suicidio sotto il regime.
Il secondo volume edito in quest’occasione è, come dicevamo, Miscellanea Tassoniana. Si tratta di un testo molto diverso dal primo sia nella mole che nel contenuto, è infatti una raccolta di studi storici e letterari. Se il primo volume pubblicato è inevitabilmente dedicato alla moglie in questo caso Formíggini invia la sua dedica a Giovanni Pascoli con le parole: «Maestro più caro, più grande, con affetto fraterno e figliale, con infinita riconoscenza l’esordiente editore invia in omaggio». Questa dedica è motivata anche dal fatto che Pascoli aveva scritto la prefazione del volume definendo Formíggini «filosofo del ridere», appellativo sul quale ci soffermeremo dettagliatamente più avanti.

Alcune informazioni sulla sua attività di editore possiamo ricavarle dalle parole riportate nel Bollettino editoriale del 1914: «Un bel mattino di maggio, nel 1908, svegliandomi mi accorsi che avevo le mani come prima, il naso come prima, tutto come prima, pur essendo completamente diverso: non ero più uno studioso, ero diventato un editore». In realtà l’idea di diventare editore era germogliata in lui già qualche anno prima, ma le trattative per rilevare la libreria dell’editore Mucchi non erano andate in porto ed era stato necessario aspettare l’occasione della festa sopra citata.

Nel frattempo alcune compagnie universitarie lo spingono a entrare a far parte dell’associazione culturale Corda Fratres di stampo pre-massonico il cui ruolo principale era quello di creare amicizia fra i popoli. Formíggini assume un ruolo dirigenziale e cerca di evitare spinte eccessivamente nazionaliste (non dimentichiamo che siano all’alba della prima guerra mondale). Propugnare l’amicizia fra i popoli e fra diverse culture è uno degli elementi centrali di altre sue attività, basti pensare alla prima tesi in giurisprudenza del 1901 che ha come titolo «[…] Contributo storico-giuridico ad un riavvicinamento fra la razza ariana e la semita» e che Formíggini afferma di aver immaginato come una sorta boutade, una presa in giro nei confronti dei docenti universitari. Bisogna però stare attenti perché il nostro editore crea un personaggio di sé che alimenta continuamente e quindi quando si leggono i suoi scritti è necessario cercare costantemente conferme da altre fonti. A proposito dell’unione tra persone Gabriele ha ritenuto importante citare il suo «testamento massonico», un documento di accesso alla massoneria in cui Formíggini scrive: «L’uomo libero deve essere apostolo di amor di Patria, ma per amor di Patria non intendo che si debbano odiare gli uomini di razza o di nazionalità diversa, perché ciò sarebbe in contrasto col dovere di solidarietà che ciascuno deve sentire verso ogni uomo perché tale».

La risata come strumento di affratellamento

Come abbiamo già anticipato Giovanni Pascoli definisce Formíggini «filosofo del ridere» e non a caso dal momento che egli si laurea una seconda volta con una tesi in filosofia morale dal titolo Filosofia del ridere. Siamo nel 1907 e negli ambienti culturali dell’epoca si stava ragionando sul tema del riso e dell’umorismo, basti pensare alla riflessioni sull’argomento di Pirandello e Bergson. Per Formíggini la potenzialità del ridere è sconfinata e nell’umorismo rintraccia l’elemento comune e peculiare dell’animo umano in grado di rinsaldare il legame tra tutti gli uomini. Non solo, quando ripenserà alle sue peripezie e alla sua vita tornerà sul tema del ridere ritenendolo la cosa più seria mai fatta: «Nel periodo della mia vita che dedicai agli studi, la sola cosa, forse, a cui volsi l’animo particolarmente attento fu il ridere, e mi parve che esso, oltre ad essere la più emergente caratteristica dell’umanità, è il più specifico elemento diagnostico del carattere degli individui forse anche il tessuto connettivo più tenace e il più attivo propulsore della simpatia umana».

A questo punto del nostro incontro Gabriele pone l’accento su un dettaglio fondamentale e cioè che Formíggini sia un editore di collana e come tale concepisca prima di tutto le collane per ragionare solo in un secondo momento sui titoli da inserirvi, una questione che molti piccoli e medi editori affrontano tutt’oggi. A proposito di collane e dell’importanza del riso nella sua attività è d’obbligo citare la collana «Classici del ridere» lanciata nel 1913 e illustrata da Adolfo De Carolis (illustratore delle copertine dei libri di D’Annunzio). Si tratta di piccoli libri le cui caratteristiche tecniche cambiano nel corso del tempo anche in relazione alla disponibilità effettiva di carta, una materia prima che in trent’anni di attività sarà più o meno reperibile a seconda del periodo storico. Il titolo della collana viene scelto dopo una lunga consultazione con diversi colleghi e amici, secondo la pratica consueta per Formíggini, in quanto piccolo editore, di coinvolgere nei processi decisionali figure professionali di vario tipo (tipografi, altri editori, autori) per ricevere impressioni e pareri sulle sue scelte. Vengono proposti molti titoli diversi (da «Classici dell’umorismo» a «Classici giocondi») per approdare, in ultima istanza, a quello che conosciamo. È una collana importantissima per il nostro editore (produce in totale 105 volumi sui 630 totali, dunque un 1/6 circa dei titoli pubblicati passa per i «Classici del ridere»), che gli dà grande soddisfazione commerciale poiché ha una diffusione molto ampia, al punto che è ancora oggi possibile trovarne alcune copie online o presso qualche fiera.

Altra collana molto diffusa è «Profili»: 129 ritratti di personaggi storici o letterari. Si tratta di piccoli libri dal prezzo contenuto per poter essere acquistati dagli studenti. A quale esigenza risponde questa collana? Ce lo dice lo stesso Formíggini: «A cosa servono i “Profili”? A soddisfare il più nobilmente possibile l’esigenza, caratterista del nostro tempo, di voler molto apprendere col minimo sforzo». Un’esigenza che sembrerebbe condivisa anche dal nostro tempo.

Un editore contemporaneo

Dopo quest’interessante panoramica biografica Dario ha riportato la nostra l’attenzione sui punti di contatto tra il modo di fare editoria di Formíggini e l’attualità. Partiamo col dire che l’editore modenese fa un grande censimento degli abbonati a «L’Italia che scrive» col fine di dividere in categorie i vari lettori per poter informare ciascuno di essi nel modo giusto e inviare loro i materiali che potessero effettivamente suscitare il loro interesse, cosa che oggi avviene attraverso gli algoritmi e i cookies. Il parallelo con una piccola casa editrice contemporanea si può trovare nel personale interesse che Formíggini aveva di sottoporsi continuamente al dialogo con tutti coloro che gli scrivevano e di interagire con chiunque potesse fornirgli un riscontro. Avere una figura che possa dialogare con i librai, con quanti abbiano il polso degli umori del pubblico o con i lettori stessi è un aspetto tutt’oggi di vitale importanza per un piccolo editore. A tal proposito, Gabriele ci ricorda «Introvabili», collana di minimum fax attraverso la quale la casa editrice cerca un dialogo diretto con i lettori chiedendo loro di indicare i propri titoli del cuore che per qualche ragione sono ormai fuori catalogo o non reperibili in libreria; è un tentativo, dunque, di rendere il pubblico partecipe di un progetto culturale per arrivare a capire che cosa possa suscitare il loro interesse.

Gli editori a volte rischiano di avere una visione un po’ parziale e poter contare su qualcuno che abbia contatto diretto con il pubblico può rivelarsi cruciale. Formíggini in questo è stato maestro, la stessa «L’Italia che scrive», infatti, ha per lui lo scopo di raccontare il suo mestiere e di provare a capire dagli abbonati che cosa si aspettassero dal mondo editoriale e che cosa volessero leggere. Si trattava di un supplemento mensile che veniva offerto scontato a chiunque fosse abbonato a qualsiasi giornale o periodico con l’intenzione, insomma, di farne un potente strumento di partecipazione.

Sono tante le riflessioni che questo incontro ha suscitato in noi ma una, forse, si impone sulle altre: nonostante il mondo editoriale sia in continua evoluzione e in costante movimento sarebbe utile fermarsi di tanto in tanto e guardare al passato per scoprire, nell’operato di chi ci ha preceduti, insegnamenti preziosi per il presente.

Anna Paola Caccavo è insegnante di lettere e italiano per stranieri, da sempre appassionata di letteratura e cinema. Ha frequentato il percorso di formazione in editoria.

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