Romanzi in tre righe: microtrame che contengono un mondo
Io andai dall’angelo, dicendogli di darmi il libretto. Ed egli mi rispose: «Prendilo e divoralo: sarà amaro alle tue viscere, ma in bocca ti sarà dolce come miele»
(Apocalisse di Giovanni, 10:9)
Nell’arte della sintesi permane qualcosa di sacro, legato ai processi magici, ai riti, alle formulazioni che illudono – o rassicurano – l’uomo sulla propria appartenenza al mondo. Riuscire a cristallizzare in un pugno di accenti un’intera vicenda, una vita, addirittura un universo narrativo, è un grande potere. E soprattutto un inganno sopraffino. Sì, perché nella condensazione condotta all’estremo si cela quel desiderio atavico di assimilare – e quindi inglobare nella propria carne – tutto quanto sia ritenuto insostituibile per accrescere la propria forza, la propria ricchezza, la propria conoscenza. Il cannibalismo rituale, così come certe declinazioni del picacismo esoterico, hanno a che fare con un certo bisogno di corrispondere al tutto – all’intero – attraverso l’assunzione di una sua piccola, preziosa parte. E così forse la stessa scrittura, che riduce in segno (qualcosa di molto piccolo e riassuntivo) l’esistenza dell’uomo e delle cose.
Saper ordire in sole tre righe un’intera epopea è a suo modo possibile, e il processo risulta più efficace maggiori sono le lacune di quanto non viene detto, di quanto deve essere riempito da chi legge, da chi a sua volta assume – divora come Giovanni a Patmos – l’universo inscritto in pochissime parole.
È paradossale e significativo come nella contemporaneità l’aspirazione alla sintesi estrema della narrazione passi attraverso il filtro dell’ironia, o del grottesco. I Romanzi in tre righe di Fénéon, oppure i Delitti esemplari di Aub sono due delle vette di questa tensione, ma non le sole. Entrambe rimangono nell’alveo del divertissement, magari estremo, dissacratorio e iconoclasta, ma pur sempre recluse nelle pagine di un giornale oppure sfogate nelle miniature di omicidi senza castigo. Nessuno penserebbe mai di ricondurre simili prove a una forma di ispirazione arcana, eppure una parentela esiste. Esiste con i vaticini di cui sono disseminate le storie dell’antichità, i sogni degli dèi e degli eroi, ovvero micro trame che riflettono e contengono un intero sistema.
Per queste ragioni, forse, un romanzo in tre righe è davvero possibile, anche solo nella forma minima – e serissima – del gioco, del cimento. Ne abbiamo ragionato con le partecipanti al seminario Per brevità chiamato racconto. E questo è il risultato della nostra, altrettanto piccola, scommessa. Giudicate voi.
Danilo Soscia
Noia
di Francesca Arlotti
“Domani volerò!” disse ai pappagalli fuori dal vetro.
Poi ripeté i soliti sei giri del tronco, contò le lumache, si grattò la pancia sulla pianta e, invece, saltò.
La sera si esaudì, quando il suo corpo rosso e asciutto planò nel cesso.
L’appartamento
di Ilaria Celli
I proprietari di casa erano tornati prima. Lucia li sentì entrare, mentre cercava per la stanza le chiavi delle catene.
Andiamo?
di Diana Chiarin
– Ora ti sparo. Va bene? – Ernesto guarda Lori farsi piccina e le sorride.
– Grazie amore.
– Perché? – Chiede lui.
– Lasci andare me per prima.
Ganapati
di Stefania Costanza
Non usciva mai, ma gli chiesero di fare il giro del mondo e accettò.
Lentamente si alzò, indossò un vecchio paio di scarpe con i tacchi altissimi e camminò lungo tutto il perimetro del suo appartamento.
Spoglie
di Anna Chiara Ferioli
Un gesto sdegnoso e salutò questo mondo.
Diventò un albero.
Adesso ammonisce i passanti irrispettosi cigolando e balbettando: “germoglio”.
Madama Montagna
di Pamela Frani
Il respiro si faceva sempre più faticoso mentre salivamo il sentiero. Piano, piano, per non fare rumore: con il suo candido mantello Madama Montagna non deve svegliarsi. D’improvviso, tra i deboli raggi di sole, il di Lei sbadiglio si fece possente. Il terrore si sciolse in un abbraccio. Adesso vicini, saremo per sempre suoi figli.
Forse un bene
di Giorgia Simoncelli
Frignava, ancora.
Mi rimisi gli occhiali ma anche così non vedevo niente. Allungai le mani poi le ritrassi nascondendole in tasca.
Forse era un bene non vedere più, mi dissi, mai più.