Un libro che inganna chi legge: «Il serpente» di Malerba
di Livia Novello Paglianti
Mi è sempre stato difficile trovare qualcuno con cui parlare. Che cosa si dicono gli uomini? Certi giorni vado per la strada e vedo gente al caffè che parla, gente per la strada che parla muovendo le mani e le parole dell’uno si accavallano a quelle dell’altro, e poi in macchina, un uomo al volante parla con quello che gli sta vicino, anche in bicicletta, voglio dire da una bicicletta all’altra gli uomini riescono a parlare. Ma che cosa si dicono? Che cosa hanno da dirsi?
«Il serpente», Luigi Malerba
In questo incontro del gruppo di lettura Casa d’altri, condotto da Antonio Iovane, abbiamo preso in esame il romanzo Il serpente di Luigi Malerba, un autore spesso trascurato, che merita tuttavia un posto nel pantheon degli scrittori italiani.
Nato a Parma nel 1927, Malerba fece parte del Gruppo 63, il principale movimento letterario di neoavanguardia in Italia, assieme a scrittori e intellettuali come Alberto Arbasino, Umberto Eco, Angelo Guglielmi e Sebastiani Vassalli. Nel 1963 pubblica la raccolta di racconti La scoperta dell’alfabeto, a cui segue, nel 1966, Il serpente, che, pur influenzato dallo sperimentalismo neoavanguardistico, rimane un testo abbastanza accessibile. La componente sperimentale risulta invece più accentuata nel romanzo successivo, Salto mortale (1968), ma si attenua progressivamente nelle ultime opere, tra cui Le maschere (1994).
La trama di questo romanzo è, in apparenza, molto semplice: il protagonista, un timido e solitario commerciante di francobolli, si innamora di una ragazza, Miriam, con cui ha una storia d’amore, ma sviluppa nei suoi confronti una possessività e una gelosia che rasentano l’ossessione, e alla fine la uccide. Ma siamo sicuri che sia andata così? E, per di più, siamo certi che questa sia la trama? L’intera vicenda, infatti, è raccontata dal punto di vista del protagonista, che però si rivela un narratore estremamente inaffidabile, dato che spesso si contraddice e in più punti rivela di aver mentito, disorientando e spiazzando in continuazione il lettore. Anche la lingua e la sintassi del romanzo contribuiscono a creare un senso di dubbio e di incertezza. Inoltre, il protagonista-narratore e gli altri personaggi si muovono in un’atmosfera confusa, a tratti inquietante, che sembra «svaporare come svaporano tutte le cose del mondo»: le immagini appaiono sfocate e nebulose, i rumori sono lontani e ovattati, e spesso subentra l’elemento surreale (legato, ad esempio, ai motivi del sogno e del volo). Il romanzo, insomma, oscilla tra realtà e visione in modo quasi cinematografico (Malerba, d’altra parte, era anche sceneggiatore per il cinema e la televisione). Per questo motivo, i continui rimandi alla toponomastica di Roma, città in cui è ambientata la vicenda, alludono di certo al romanzo classico, ma sono anche un tentativo dell’io narrante di fornire al lettore alcuni riferimenti concreti e tangibili, in modo da rendere più verosimile un racconto che progressivamente si sfalda.
Nulla è certo, tutto può cambiare; e ciò che pensavamo essere vero, alla fine non lo è. Questo perché, come ha fatto notare Antonio Iovane, il protagonista-narratore inventa una realtà a sua immagine e somiglianza, basata sul paradosso e filtrata dalla paranoia, e cerca di convincersi (e convincerci) della veridicità del suo racconto, costruendo, mattone dopo mattone, una storia che poi abbatte totalmente. È, insomma, un vero e proprio mitomane, determinato a illudere il lettore, che non sa mai se e quando credergli ma allo stesso tempo ricava un sottile piacere nel subire il suo inganno. A molti di noi questo personaggio è sembrato dunque sgradevole, sfuggente e viscido come il serpente del titolo. Allo stesso tempo, la sua solitudine, nonché la misantropia e la difficoltà nel comunicare che lo portano a inventare una realtà alternativa, hanno ricordato a un lettore il Joker dell’omonimo film di Todd Phillips.
Ci siamo quindi confrontati su quale fosse il punto del racconto in cui ci siamo resi conto di essere “vittime” di un inganno: alcuni di noi lo hanno intuito fin dall’inizio, altri se ne sono resi conto progressivamente, man mano che aumentavano le contraddizioni e le menzogne, e altri ancora alla fine, dopo l’omicidio. Qualcuno ha poi fatto notare che la lettura della quarta di copertina o della prefazione rischiava di spoilerare e di rovinare l’effetto sorpresa, senza però togliere nulla alla bellezza dell’opera.
Abbiamo poi identificato un altro punto di forza del libro, ovvero la capacità dell’autore di combinare abilmente generi e registri diversi, mantenendo nel contempo un tono uniforme: il romanzo, infatti, strizza l’occhio al giallo (anche se, come nota Francesco Muzzioli nella prefazione, si tratta di una sorta di «giallo al contrario») e non rinuncia alla suspense tipica del thriller, in alcuni punti scivola volentieri, come già accennato, nel surreale, ma anche nel comico e nell’umoristico (ad esempio, quando si descrive l’invenzione del «canto mentale» e il presunto amico del protagonista, e perfino nel racconto dei macabri dettagli dell’omicidio). Questi elementi contribuiscono a rendere Il serpente un romanzo unico e originale, in cui la verità sembra continuamente scivolarci tra le dita, lasciandoci confusi e turbati. Il racconto si avvolge su di sé come le spire di un serpente, e divora se stesso dall’interno, fino a dissolversi, perché, come ci ricorda l’elusivo protagonista, «dietro ogni cosa si nasconde quasi sempre qualcosa d’altro».
Livia Novello Paglianti è traduttrice dall’inglese e dal francese. Ha frequentato il percorso di editoria di minimum lab.
Casa d’altri è il gruppo di lettura di minimum fax dedicato ai libri pubblicati dalle altre case editrici. Qui trovi il diario degli incontri.