Nichelini: tre consigli sul trovare il proprio spazio, da Barbara Bernardini
Barbara Bernardini, responsabile dei corsi di minimum lab, scrittrice e curatrice del Semenzaio, rispolvera la rubrica i Nichelini – brevi suggerimenti, consigli, dritte per chi scrive e per chi si avvicina al mondo editoriale da parte di docenti, scrittori e professionisti.
Quelli che seguono sono consigli per chi vuole scrivere, lavorare in editoria o avviare un progetto culturale e magari sta cercando il giusto percorso formativo, o la giusta strada, per costruire il proprio spazio.
1) Non esistono certezze: praticare il dubbio
Sono una persona indecisa, cronicamente persa nel dubbio, ed è una faticaccia vivere così. Ma col tempo ho capito che questo soppesare sempre tutto e la libertà del mettere in discussione ogni certezza, sapendola demolire quando necessario, sono motori importanti del cammino. Procedere sempre dritti per la propria strada senza guardarsi mai non solo indietro ma nemmeno attorno può far camminare più svelti, può dare un vantaggio iniziale – non sto mai al passo, sono sempre in ritardo rispetto alle persone più intraprendenti – ma sul lungo periodo, sulle maratone, concede fiato, prospettiva, orizzonti più lontani.
Perciò il primo consiglio è: metti in dubbio tutto, non aver paura di ricominciare, di sbagliare strada, tornare indietro, girare in tondo. Tutto serve, sempre, non c’è un traguardo da raggiungere in fretta e se lo hai fissato, smontalo, distogli lo sguardo da quel puntino all’orizzonte, prima che offuschi la visione d’insieme.
2) Non esiste Il Corso Giusto, ma molte strade che si incrociano
Organizzo corsi di editoria e scrittura da vent’anni, dovrei quindi dire che quelli di cui mi occupo sono I Corsi Giusti: e invece no. Non lo sono questi, non ce ne sono altri che lo siano. Ci sono varie proposte, ognuna costruita in modo diverso, qualcuna innovativa, qualche altra scopiazzata, ma ognuna concede degli spunti, fornisce degli strumenti, dà delle prospettive sul mondo editoriale.
Il corso in sé non basta mai, servono anche interesse per i libri, per i giornali, per le riviste, per la parola scritta (e illustrata), per la carta e per il digitale. Bisogna leggere, leggere e poi leggere. Avere curiosità per i festival (non tutti!), per le riviste (non tutte!), per gli eventi, i podcast, i meccanismi, le librerie, le newsletter, il marasma di questo mondo. E poi coltivare quei progetti – specie se collettivi: le riviste indipendenti, per esempio – che sono un modo parallelo a corsi e università per formarsi come redattrici, editor, traduttori, uffici stampa, grafici, web e social content creator, testare in cosa si è capaci e imparare come collaborare con altre persone per le cose in cui non lo siamo.
Solo così si può capire quale può essere il corso, se non Giusto, adatto a colmare le competenze che ci mancano nel settore che più ci sembra adatto a noi.
E infine – vedi punto precedente – anche il corso in grado di farci cambiare idea sul settore che sembrava adatto a noi, per prendere in considerazione altro.
Questa è una cosa che il percorso di formazione in editoria sa fare bene: mostrare tutti i mestieri editoriali, anche quelli meno conosciuti, per far scoprire quanta creatività ci sia anche nell’area commerciale o quanta avventura sia nascosta nei faldoni di un ufficio diritti.
3) Non esiste il lavoro dei sogni: e non tutti i sogni devono diventare un lavoro
Lavorare con i libri dà sicuramente la possibilità di fare un lavoro spesso (ma non sempre!) divertente, entusiasmante, appassionante. Ma rimane un lavoro e come tale va giudicato, mettendo sulla bilancia le due principali variabili che servono a misurare il lavoro: il tempo che ci ruba, lo stipendio con cui ci ripaga di questo furto. Pensarlo come passione o realizzazione di un sogno allontana dalla concretezza con cui andrebbe valutato, e con cui andrebbero soppesate, quindi, le vie per formarsi per quel lavoro.
Non considerarlo un sogno da realizzare, ma nemmeno uno strumento di rivalsa, un modo per definire la propria identità, una via per sentirsi migliori: un lavoro è un lavoro. Ce ne sono di più usuranti e di più faticosi, certo, ma per quanto possa sembrare scintillante, anche il lavoro editoriale va tenuto nella casella “professionale” delle nostre vite: è importante che non si prenda più spazio del dovuto.
Non è facile, soprattutto quando ci si lancia in un proprio progetto: lì non esistono consigli, bisogna valutare passo per passo, se trasformare magari quella passione in un’attività che possa essere anche remunerativa, o se lasciarsi la libertà del non dover rendere produttivo anche quello spazio di espressione che ci siamo costruiti. Preservarne la parte giocosa, liberatoria, dissidente, dargli un valore che non sia monetario, tenerlo in quella casella “non professionale” delle nostre vite, che merita comunque, o forse proprio questo, di essere presa molto seriamente.
