Storie oltre l’umano • parte tre

Storie oltre l'umano • parte tre

Una delle tappe del laboratorio di narrativa è un modulo dedicato alla scrittura dell’ambiente e del territorio: in questo modulo ci siamo sfidati a scrivere delle storie che non avessero come protagonisti gli umani, e nemmeno degli animali umanizzati. Scrivere storie che, invece, raccontassero di piante, animali, elementi naturali, ma anche case, strade o oggetti: di seguito pubblichiamo la terza e ultima parte, qui trovi la prima mentre qui c’è la seconda.


Sansevieria, di Giusi D’Urso

C’è una sansevieria dietro la finestra del salotto di una casa di città. Le foglie carnose, verde chiaro ai margini e più scure al centro, sono cresciute racchiudendo uno spazio da cui ogni tanto, all’inizio dell’estate, emerge una spiga sottile con piccoli fiori bianchi e profumati.
In città, negli anni passati, la fioritura  è stata un evento raro. Ma di recente, certi caldi tropicali l’hanno resa abituale, com’è ogni primavera i fiori blu della borragine. Accade soprattutto da quando ai primi caldi la sansevieria viene trasferita su un terrazzo che dà sul cortile fra due palazzi. Il ritaglio di cielo in quel punto è trapuntato dai voli sgraziati e rumorosi dei piccioni, il pavimento screziato dal guano. 
Lo scorso anno, l’infiorescenza è nata tra le foglie esterne. Lo spazio centrale è stato occupato da rametti e pagliuzze messi lì alla buona e in poco tempo. E qualche giorno dopo, da un uovo bianco e liscio.

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Mucca di Dio, di Esther Bondì

Distorta, di zampe e di testa. Ho muggito silenzi, una mucca da pascolo grande come petto di foglia. È umido qui, sotto il parco, le uova nascita e cibo procacciano: nascita e riproduzione. Verde, il mio campo come tempio divino: di mucca il mio corpo, di dio il mio nome. Mi muovo lenta e veloce: volo. Da pioggia a foglia riparo.
Ingurgito l’altro, a volare spavento. Colore di rosa, veleno per cacciatori.
Senza gambe, secca, mi ha trovato una morte puntina: un tic, come di goccia di freddo che cade.

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Giovannino, di Annalaura M. Evans

Era tutto rosa, profumava di pesca ed era molto, molto peloso. 

I suoi primi mesi li aveva passati in un involucro di plastica e cartone. Quanto silenzio lì dentro, tutto immobile, tutto  sterilizzato. Quello fu l’apice della sua purezza. 

Poi Natale. Inizio della contaminazione. Scartamento regali, confezione dilaniata, mani di marmocchio sporche di cioccolata, abbracci umidi “Giovannino!” dicevano “È un bel nome per un orsacchiotto!”. L’odore di pesca l’aveva perso quasi subito. Il manto, invece, aveva retto un po’ di più. Addirittura qualche mese, prima di arrendersi al suo destino batuffolare. Ogni volta che veniva sfiorato, accarezzato, abbracciato, baciato, stritolato Giovannino perdeva un po’ di pelo. Poco sicuro per bambini piccoli, non in linea con direttive europee, ma erano gli anni novanta, non si sapeva, che carino, profumava! 

Nel tempo tante cose gli sono successe, alcune anche un po’ degradanti, come quando Luisito ha provato a montarlo. Una strage quel giorno, gliel’avevano dovuto togliere a forza, Luisito non mollava. O quando gli avevano versato mezza bottiglia di Coca Cola addosso, era rimasto appiccicoso per settimane. 

Oggi Giovannino giace dimenticato nel quarto cassetto di un mobile in mansarda. È coperto da un po’ di polvere, gli manca pure un occhio. Nessuno mai lo tocca. Meglio così.

Pietre, di Benedetta Munalli

Sotto l’acqua del lago le pietre sono immobili. Mentre la pioggia picchia la superficie e il vento ne alza le onde, loro riposano le une sulle altre. La loro fermezza le addormenta, si incastrano tra loro, restano sole in un letto di alghe. L’immobilità innata delle loro esistenze non sembra di questo mondo. Cullano le radici e le alghe che crescono tra i loro interstizi, allungandosi verso il cielo. I pesci vi si nascondono. Mentre trattieni il fiato e le osservi, capisci che il lago senza le pietre sarebbe solo acqua. Le melme lattiginose nascono dall’unione di fluido e solido. Da quelle, le erbe del lago aumentano e proliferano, si muovono tra le correnti, si staccano e giungono a riva. Le pietre le lasciano fare, non trattengono né respingono. Di tanto in tanto vengono mosse e con loro si sparge la terra più fredda come spore di funghi. Ma quando torna la calma, e tu riprendi fiato, sembrano parte di un territorio solido, mai sfiorato. Mentre attorno a loro ogni cosa cambia e nasce e muore, le pietre si lasciano solo levigare. Tornano sassi. Di più, ancora e una volta di nuovo, finché si riducono a granelli senza nome e spariscono in qualche cavità gravida del lago.

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