Da corso nasce cosa: un augurio da Daniele Di Gennaro
Daniele Di Gennaro è fondatore di minimum fax. Ha scelto di condividere un ricordo personale per farci un augurio speciale: coltivare le cose che amiamo fare, perché potrebbero portarci molto lontano.
Vivevo i miei 25 anni nel dubbio di aver sbagliato la scelta della facoltà universitaria (infognato nel “comma profondo” di Giurisprudenza alla Sapienza): il tempo degli studi, il tempo perso, il tempo delle passioni (letteratura e musica) e quello dell’incertezza sul futuro, era semplicemente il Tempo, un unicum indistinto dove le aspettative altrui e le mie erano in conflitto permanente. Era il 1992. Sento ancora quella netta sensazione di un flusso che scorreva lento, quasi inchiodato, dove ogni interesse o desiderio avevano il sapore della fuga impossibile da un vortice che non conduceva da nessuna parte.
Ricordo perfettamente il sabato in cui mio padre scosse con un colpo secco il Corriere della Sera teso fra le sue mani, come si sbatte uno straccio da maltrattare, per far emergere su una bolla di carta un annuncio di un corso di scrittura, fra le pagine degli eventi romani: “Le parole di gomma” si teneva di pomeriggio in un pub a Trastevere, dove si potevano incontrare degli scrittori per conoscere qualcosa del loro mestiere. Aveva letto che fra questi c’era Raffaele La Capria, un autore considerato dai miei “uno dei nostri”, “uno buono”, uno insomma che a casa piaceva a tutti. “Vai, te lo regalo”, disse, con il tono di resa e presa d’atto di un’evidenza.
A quel tempo la Letteratura era roba d’altri che per un’incidente era diventata, nascosta sotto i Codici delle leggi, anche cosa mia. Nell’isolamento assoluto di letture avvenute in solitudine, o in conciliaboli a due, si consumava l’esperienza semiclandestina del vivere i libri come di qualcosa di pescato nel buio, di nascosto, affiorato dalle tenebre del tempo o dalla solitudine di uno scrittore. Quei libri erano il lenzuolo che dava forma ai miei fantasmi, mi suggerivano le parole che avevo e non sapevo di avere.
Ritrovarmi di colpo fra venti persone (di cui ricordo tutte le facce e molti nomi) a parlare di libri e di scritture, ad ascoltare gli autori amati che parlavano come esseri umani della loro giornata di artigiani della scrittura e della riscrittura, ebbe l’effetto del raggio di luce su Jake/John Belushi nella chiesa del reverendo Cleophus James (Brown) nel film The Blues Brothers.
La linea sottilissima che demarca il confine fra velleità e volontà a volte è invisibile, ma in quei giorni di incontri – c’era persino gente che veniva in treno ogni volta da Caserta – il peso dell’incertezza che nell’esperienza solitaria poteva essere schiacciante, ripartito su più spalle pesava di meno, molto meno: essere in tanti a condividere, prima timidamente e poi con crescente slancio, la passione personale per i libri e l’editoria permetteva che diventasse un progetto collettivo. Non a caso poco dopo nacque una rivista di letteratura, con lo stesso nome della casa editrice in cui lavoro ogni giorno.
Un percorso quasi nascosto di conoscenza dei libri si riempiva di senso per diventare un percorso sociale, di conoscenza di persone fra persone. Allora il gioco, necessariamente di squadra, si faceva divertente, oltre ogni immaginazione, oltre ogni posizione adorante e contemplativa dell’arte letteraria. Le questioni letterarie diventavano questioni personali, le dinamiche di semplice gusto personale e di consenso venivano portate a un grado superiore, dirigendosi verso il senso. È questa l’atmosfera che abbiamo cercato di ricreare a minimum lab, nelle stanze della casa editrice, dove i professionisti di editoria e scrittura e le classi sono tutti immersi nel fiume della stessa esperienza: essere soprattutto lettori, con differenti gradi di consapevolezza sui mestieri possibili che ruotano intorno al mondo del libro.
Solo oggi, dopo oltre 25 anni di pubblicazioni, mi rendo conto che i libri, i giornali e le storie raccontate da mio padre in quegli anni rientravano in un unico grande atto di restituzione dell’esperienza che ogni giorno fa più densi i miei quarti d’ora. Il mestiere editoriale rende sistematico l’avere sempre qualcuno attorno in grado di insegnarti qualcosa, ti obbliga a un apprendimento costante, adrenalina pura.
Quel primo corso nell’inverno del 1992 è stato decisivo per rendere utile e costruttiva la serie di scelte sbagliate, e i tentativi di semina su terreni non miei. Senza quell’esperienza, senza quel babbo e quel suo leggere i giornali fino all’ultimo tamburino, oggi starei ancora dall’altra parte, senza potere dar senso concreto ai miei desideri.
È questo l’augurio che faccio a tutti voi: trovare, magari proprio attraverso un corso, la strada che più di tutte desiderate percorrere.
Buone feste!
Daniele Di Gennaro