Fantasmi e i luoghi che abitano: la lezione aperta di Carola Susani e Veronica Galletta
Questo è il racconto della lezione aperta di scrittura tenuta da Carola Susani e Veronica Galletta. La lezione ha anticipato alcuni dei temi al centro del laboratorio di narrativa che partirà a marzo 2022 ed è corredata da due percorsi di lettura.
di Pamela Frani
I fantasmi sono portatori di una verità detta differentemente.
I fantasmi stanno dove muoiono.
Questi sono alcuni stralci della lezione di Carola Susani e Veronica Galletta: tra aneddoti personali e curiosità sulla loro scrittura, le autrici sono partite dai loro romanzi Terrapiena e Nina sull’argine per parlare dei personaggi fantasma e del tessuto narrativo che li circonda. Si sono interrogate l’un l’altra sull’essenza di questi fantasmi. Fantasmi creati non per spaventare ma per permettere alla parola, alla forza di trasformazione di prendere forma.
Il percorso
I fantasmi nei due romanzi sono entrambi siciliani: in Nina sull’argine si tratta di un vecchio operaio di cantiere trapiantato al Nord, in Terrapiena si parla invece di un giovane, allo stesso tempo anche bambino, che cerca di tessere il filo della sua storia.
Come specchi messi uno di fronte all’altro, entrambi riflettono l’indicibile: la problematica del lavoro nero e dello sfruttamento, le difficoltà della ricostruzione, lo scontro con chi ha il potere e il rischio della sfida.
Questi fantasmi sono molto legati ai luoghi in cui si manifestano.
Per Galletta, nel paesaggio freddo e nebbioso del cantiere di Spina, nella Pianura Padana, il fantasma che incontra Caterina, detta Nina, non poteva che essere un operaio, anziano, siciliano, vestito in maniera grossolana e che sta in uno scavo con poche protezioni. Il fantasma rappresenta la più grande paura di Caterina, che è ingegnere: le morti sul lavoro. Eppure la protagonista ha bisogno comunque di sentirlo vicino, una guida saggia e un isolano con cui parlare delle tradizioni lontane ma care al cuore.
L’abbandono vissuto dalla protagonista si interseca con la costruzione dell’argine, che deve avvenire prima che la piena si verifichi di nuovo. E proprio questo cantiere nella Pianura Padana è il contesto in cui Caterina deve affrontare i conflitti generati in paese per gli espropri e che trovano voce in manifestazioni ambientalistiche e in riunioni nei bar, ma anche fare i conti con il potere dei suoi superiori, la corruzione e l’essere donna in un ambiente lavorativo prettamente maschile.
Caterina è tesa per questo cantiere, i lavori dell’argine erano stati già fatti con difficoltà in precedenza e c’erano state addirittura delle morti. Ha bisogno di una guida: in questo contesto incontra Antonio.
Antonio è una funzione della narrativa: non è un fantasma che arriva in mezzo colpi di scena, ma è uno strumento necessario per la trasformazione della protagonista. Non a caso si è mostrato alla sola Caterina e non al datore di lavoro precedente, che lo aveva licenziato e assunto di nuovo (in nero a un mese dalla pensione). Antonio è la rappresentazione di quell’uomo comune, non visto e non considerato dalla giustizia, uomo che subisce soprusi. Soprusi che la stessa protagonista subisce sul lavoro e nella vita privata.
Galletta spiega come questo personaggio le sia arrivato lontano nel tempo, ancora prima della stesura del libro. Aveva già nel suo immaginario la figura di un uomo che scavava in una buca: finalmente ha potuto dargli voce nel romanzo.
Ognuno di noi ha un fantasma intimo, inteso come voce del proprio indicibile: ogni fantasma è il modo in cui ciascuno guarda alla vita.
L’immaginario
Come si crea questa visione? Fa solo parte dell’inconsapevolezza o si può costruire il proprio immaginario?
Per Carola Susani ogni scenario nasce da una relazione. Lo scheletro di un romanzo, termine che porta con sé un immaginario di paura, non riesce a tenere inscatolata una storia: le parole sono come una nave che solca l’oceano. La consapevolezza del racconto si divide tra gli argini, lo script, e il fiume, la storia che non si può dominare.
Per lei spesso le idee partono dall’infanzia: quando da bambina si è trasferita dal Veneto in Sicilia, era circondata dalle case abbandonate e dalle conseguenze tangibili del terremoto. La sua esperienza immaginifica di bambina le ha permesso di essere una divoratrice di scoperte e di avere uno sguardo nuovo sul quel territorio ferito dalla catastrofe.
Il suo romanzo Terrapiena è un lamento funebre, già dai primi capitoli pone le basi del dolore che lo attraversa. Ciccio, il protagonista, è esistito e non c’è più. Poverissimo, viene accudito dagli stranieri che vivono nella comune e qui fa amicizia con due bambini. Si evolve verso il riscatto dalla violenza vissuta, dall’abbandono di una madre che pensa solo al corredo per la sorella. Sembra essersi lasciato alle spalle la miseria e la desolazione, ma quando il suo retroterra lo chiama, risponde, perdendo di fatto il suo futuro.
Nelle descrizioni il giallo della polvere e il cielo della Valle del Belice si innestano sull’arancione delle baracche. Con un fascino sovrannaturale, carico come le nuvole che portano la sabbia del deserto, arriva Italo come il riflesso dell’ambiente circostante: una creatura che spunta dal nulla, con la carnagione gialla come la polvere e i capelli d’oro.
Lo trovano riverso a testa in giù nell’acqua, come morto, ma in realtà è vivo e respira. Non si sa chi sia, ma gli abitanti lo collegano ad un giovane scomparso: si diceva che portasse fortuna a chiunque lo prendesse in casa.
Una creatura chiamata dal desiderio, un genio della lampada, un dio del cambiamento. Italo sembrava davvero portare fortuna a chi lo incontrava, ognuno era affascinato dalla sua presenza: è lui la cartina al tornasole di quello che accade, è un liberatore, ma il suo manifestarsi è intriso di contraddizioni e violenza.
Le descrizioni precise del testo generano una forte inquietudine: la scampagnata dei bambini che vanno insieme a Italo a rubare i fichi nel giardino sbagliato fa sentire a pelle il pericolo vissuto dai personaggi; le case con le gambe rimandano al mito della Baba Yaga, essere soprannaturale ambiguo, feroce e materno allo stesso tempo, che ha le sembianze di una strega e abita in una casa sostenuta da gambe di gallina.
Ma Susani non ha paura delle immagini. Questa desolazione sabbiosa lascia per lei spazio all’abbandono da parte degli adulti e alla crescita delle relazioni tra pari: esplorazione tra baracche e luoghi vietati e lotta fisica a colpi di pietra. Ciccio è esplicitazione del potenziale eroico della Sicilia dove i movimenti e i desideri individuali si innestano nella dinamica sociale. Non è un santo, ma una figura ambigua che cerca un riscatto che non avverrà.
Ci sono storie, soprattutto quelle intrise di dolore, che non possono essere raccontate senza un dio o senza un fantasma.
I libri nei libri
Ciccio è accompagnato nel romanzo da un libro: L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson. Stevenson con Il mio letto è una nave dà voce all’immaginario del proprio sé bambino e con L’arte della scrittura lascia le basi dei fondamenti della scrittura.
Long John Silver è uno dei personaggi generatori dell’immaginario di Susani: figura oscura, malevola ma sporcata di bene. Un tipo di personaggio che non era stato mai visto prima in un libro per ragazzi. Pirata, criminale ha uno sguardo benevolo per Jim, ma intanto organizza l’ammutinamento. Rappresenta la borghesia che nasce: è un uomo che coglie le sue opportunità. Anche il lettore non vuole che sia sconfitto. È un personaggio con un nucleo di ambivalenza molto forte: il senso di inquietudine che il lettore ha leggendo è dato dalla sua immagine. Da un lato rimanda agli archetipi demoniaci, per il fatto che zoppica per esempio, dall’altro mostra uno sguardo quasi amorevole nei confronti del ragazzo protagonista.
Questa ambivalenza trasuda latente nei romanzi della scrittrice: in Eravamo bambini abbastanza i bambini rapiti dal Raptor non vogliono tornare dalle loro famiglie.
Per le scrittrici ogni personaggio ha una tradizione: nasce da una esperienza di vita reale o da una esperienza immaginativa, film, libri, oralità; per poi sbocciare in maniera indiretta.
Antonio di Nina sull’argine è frutto di un innesto tra le varie figure di fantasmi di cui l’autrice si è nutrita. Antonio rappresenta i fantasmi familiari, quelli con cui si ha un legame di affettività, come i bambini di I bambini sono tornati di Chiara Palazzolo: una madre perde i suoi bambini in un incidente e un giorno sente le loro voci in casa. Solo la madre può vedere i propri figli, così come solo Caterina vede Antonio.
Poi ci sono i fantasmi che hanno una funzione di rottura e di denuncia della società, come in Quando parlavamo con i morti di Mariana Enriquez: nel primo racconto delle adolescenti fanno una seduta spiritica in cui credono di parlare con i fantasmi, evocando in realtà i desaparecidos. Antonio si inserisce in questo filone, in quanto morto sul lavoro, nel cantiere da dove era stato dapprima cacciato perché non aveva denunciato un furto commesso da un amico, e nel quale era stato riassunto in nero a un mese dalla pensione.
Infine i fantasmi portatori di messaggio, come nelle favole siciliane La Penna di Hu e Le Sette testine di agnello dove i defunti si trasformano in oggetti e canti, volti a ricordare la loro storia.
Fantasmi che portano a un nodo segreto, all’essenza dell’indicibile.
Antonio, Ciccio, Italo: sono personaggi con una forza sovrannaturale, deus ex machina che incarnano esperienze di vita e immagini archetipe: si mimetizzano nella nebbia padana, accolgono la folgore e portano addosso l’oro del sole siciliano. Personaggi che si mostrano nel momento del bisogno e che scompaiono quando tutto è compiuto.
I fantasmi stanno dove muoiono. I fantasmi stanno dove li si chiama. I fantasmi si liberano.
Si liberano dopo aver percorso un tratto di strada con loro e si riesce a chiudere il cerchio, come nel ricordo di una casa lasciata vuota, o di un affetto scomparso.
Pamela Frani è laureata in scienze dell’educazione. Ha partecipato a un corso di scrittura in francese con l’autore belga Thomas Lavachery e ai corsi di scrittura e editing di minimum lab.