Percorsi editoriali: intervista a Racconti edizioni

Non siate intellettuali. Cercate di odiare i libri
Intervista a Stefano Friani ed Emanuele Giammarco

di Chiara Gianferotti

Cosa porta due ragazzi ad aprire una casa editrice esclusivamente di racconti? Coraggio o pazzia? Da dove sono partiti? E qual è stato il loro percorso fino ad oggi? Lo abbiamo chiesto a Stefano Friani ed Emanuele Giammarco, editori di Racconti Edizioni, che dal 2016 lavorano con le short stories della letteratura italiana e americana, ma non solo. «Magari è proprio questo il compito di una casa editrice: costruirsi un percorso letterario e tentare di comunicarlo, a partire da un limite.» Scopriamo insieme come Stefano ed Emanuele hanno superato il limite e sono arrivati a costruire una spirale di libri, di racconti, che, contro ogni pregiudizio, combina il sé letterario e un nuovo percorso per i propri lettori.


  • Com’è nata la casa editrice?

Dovessimo ricostruire i fatti saremmo costretti ad ammettere che nasce da un Master, quello in Editoria della Sapienza, che abbiamo frequentato parecchio tempo fa, nel tentativo di aprirci possibilità che nemmeno noi avevamo ben chiare. Se ci fermassimo a questo però avremmo l’impressione di non stare raccontando tutta la verità, anzi, restituiremmo un’immagine persino troppo lusinghiera del sistema scolastico, che amiamo fino a un certo punto… La casa editrice in fondo è nata da un desiderio comune, informe e scomposto – quello di appartenere a un mondo, di trasformarlo e di farsi trasformare – e dal gioco di squadra, dalla voglia di far nascere qualcosa che assomigliasse più a se stesso che a coloro che l’avevano partorito. Avevamo tanta voglia di fare e nessun coraggio particolare – come è stato detto spesso, un po’ pigramente. Quelli come noi hanno le spalle al muro, poca voglia e nessuna competenza per fare altro (dopo un percorso umanistico, s’intende). Sono bastate tre birre. Il resto è storia nota e facilmente deducibile dai libri.

  • Come definireste la sua crescita nel tempo, e anche la vostra crescita con lei?

Quando la casa editrice era in fasce noi due potevamo essere impunemente definiti «giovani intellettuali» dal primo Vanni Santoni che capitava. Oggi per fortuna l’equivoco si è sciolto: anzitutto non siamo più giovani, e poi abbiamo scoperto sulla nostra pelle cosa significhi il lavoro editoriale, dal trasporto pacchi alle sfiancanti trasferte su e giù per l’appennino tosco-emiliano, sfamati solo del nostro desiderio di conoscenza e del Camogli per il quale abbiamo sviluppato una vera dipendenza. Si può dire che questi cinque anni che pesano per venticinque siano stati tutti una dolorosissima e interminabile perdita dell’innocenza e che oggi noi si sia a tal punto degli scafati navigatori delle torbide acque editoriali che sappiamo già come andrà a finire lo Strega del 2025 con certezza inscalfibile. La casa editrice ha messo in cascina, fra ricatti e minacce, autori importanti, spesso a loro insaputa (erano morti o storditi), ha vinto dei premi, è stata alcune volte persino benevolmente menzionata in conversazioni svoltesi nei salotti romani. Un nostro autore, Elvis Malaj, è stato citato dal ministro degli esteri Luigi Di Maio in visita in Albania. Chiara Appendino ci ha chiesto che ne pensavamo del Salone del Libro e dello stereotipo torinesi falsi e cortesi. Er Piotta ha tutti i nostri libri. Insomma, ne abbiamo fatta di strada. Non siamo più intellettuali, per fortuna.

  • Come vedete oggi Racconti Edizioni all’interno del mercato editoriale italiano?

Racconti è una realtà piccola con dei lettori talmente appassionati che sembrano quasi militanti nel loro attaccamento – concedeteci in questo senso un ringraziamento particolare alle libraie e ai librai che hanno reso tutto questo possibile. Nonostante il mondo intero ci spinga a farne di più, pubblichiamo pochi titoli all’anno – di modo che il percorso sia chiaro e che possa dare respiro a chi ci segue – in un numero che oggi ci pare approssimarsi a quello giusto. Che tipo di libri pubblichiamo? Ci verrebbe da dire quelli per cui uno, alla fine della lettura, si chiede: Ma com’è possibile che un libro del genere lo pubblichi Racconti? Però, appunto, dopo un po’ la sorpresa dovrebbe venire meno, e lasciare spazio all’attesa. Speriamo che ormai i lettori si siano accorti della qualità del lavoro fatto.

  • C’è qualcosa del vostro progetto iniziale che non è (ancora) andata in porto?

[Stefano] Il nostro progetto era quello di diventare ricchi sfondati e bisogna ammettere che siamo a buonissimo punto (vi scrivo proprio ora dalla mia residenza estiva di Gabicce Mare mentre accarezzo un volpino di Pomerania che sa recitare a menadito gli insegnamenti della Cabala). Nel nostro sketch iniziale c’erano dei nomi scarabocchiati su un foglio e dei libri che volevamo accanto a delle cifre immaginarie. Abbiamo poi scoperto che quei libri erano talvolta sepolti nei cassetti delle case editrici più grandi le quali improvvisamente si sono accorte di averli e li hanno pubblicati dopo che noi ci eravamo fatti avanti. Alcuni, a distanza di anni, siamo riusciti ad accaparrarceli, chiudendo un po’ il cerchio. Penso in particolare a una pubblicazione che faremo in autunno e sulla quale sto in questo preciso istante facendo dell’hype molto giustificato. Ma non avrete dettagli da me, no no. Ho detto no.

  • Un ricordo bello di questi 5 anni come editori?

Il primo bonifico, molto atteso, di Messaggerie.

  • E invece un ricordo meno bello?

[Stefano] Di solito coincidono con l’arrivo delle fatture – questa cosa che non si faccia tutto a maggior gloria della cultura continua a stupirmi. A parte gli scherzi, speriamo che l’ultimo anno sia già annoverabile fra i ricordi e che non si ripeta più una congiuntura per cui al lavoro davanti a un computer non si associ anche il viaggio, la scoperta, il rapporto coi lettori, i librai, gli scrittori, i traduttori (sto diventando come Salvini, mi piacciono gli elenchi). Ecco, per quanto sia stato un anno non da buttare per Racconti, se perde l’elemento sociale che mette insieme i libri e le persone questo diventa un lavoro molto più noioso e faticoso. Speriamo non accada più.

  • Quali pensate siano i fattori che Racconti Edizioni potrà migliorare nel tempo, e quindi crescere?

[Emanuele] Idealmente ci sono ampi margini di miglioramento, ma c’è anche bisogno di circostanze più favorevoli. Il mondo che abbiamo di fronte non è lo stesso che avevano davanti gli editori italiani in passato. Siamo globalizzati o globalizzandi, il mondo della cultura è spezzettato e privo di gerarchie, il meccanismo del riconoscimento è saltato. Il lavoro editoriale, in teoria smaltito dai computer, ogni tanto mi sembra più simile a quello degli amanuensi medievali. Nel nostro piccolo cerchiamo di costruire un percorso di senso che guardi indietro e in avanti, indietro e in avanti. Per quanto riguarda l’indietro ci sono molte cose stupende da pubblicare o ripubblicare – mi piacerebbe moltissimo tenere in piedi un catalogo vivo, ma ci tengo a dire che si tratta di un risultato per nulla scontato, proprio in termini tecnici ed economici. Per quanto riguarda l’avanti mi piacerebbe invece che ampliassimo geograficamente lo sguardo e che il catalogo parlasse più lingue di quelle che mastica adesso. Mi piacerebbe anche cercare di cogliere una strada che sia “formale” (artistica) e nello stesso tempo meno astratta di quella che abbiamo perseguito fin qui. Sugli italiani in particolar modo siamo andati un po’ troppo a istinto e costruendo poco – ma anche qui non è la voglia, sono piuttosto le energie che mancano. Mi pare poi che vada reimpostato meglio il discorso relativo al racconto, a quello che si dovrebbe e si potrebbe fare con questa forma. Le mie aspettative sono al momento sovradimensionate rispetto a quanto ho avuto modo di osservare in giro. Non parlo di talento o di bravura – parole vuote e desolanti – ma di semplice volontà e desiderio. Il racconto viene pensato alla stregua di un fardello, ma non lo è. E sull’idea di inter-narratività non si è riflettuto abbastanza. Si dovrebbe fare il tentativo di immaginare le raccolte a priori. Se suona troppo contraddittorio le possiamo chiamare costellazioni.

  • Avete dei modelli, a livello personale ma anche lavorativo, a cui vi ispirate?

[Stefano] Abbiamo avuto la fortuna di osservare da vicino al master di Editoria della Sapienza alcuni fra gli smooth operator del settore e le loro lezioni le serbiamo ancora care. Penso che senza Luca Formenton e il corso sull’editoria di progetto non ci sarebbe stata Racconti. Così come senza la storia dell’editoria italiana di quel fiume in piena di Mattia Carratello, e poi le lezioni panoramiche di Luca Briasco, e di tutti gli altri docenti che poi abbiamo avuto la ventura di chiamare colleghi.

[Emanuele] La casa editrice assomiglia e prende ispirazione, ruba, da diverse realtà editoriali – molte delle quali sono state nominate in passato e alcune delle quali sono evidenti nelle nostre scelte. L’editoria italiana è piena di grandi professionalità. A livello personale sono spiacevolmente affetto da atelofobia, che alterno in modo schizoide alla certezza assoluta di avere sempre ragione. Penso che avrei potuto imparare da ognuno dei collaboratori di Racconti, nel senso che mi sono scoperto a “invidiare” quasi sempre qualcosa del loro modo di lavorare. Mi limito a tre cose recenti che mi hanno colpito: a) Il lavoro di NN, a tutti i livelli; b) La concezione del lavoro di Gazoia (interviste varie); c) L’intervista di Isabella Zani su Cattedrale. Ma ne ho tante di persone che stimo, penso che molti di loro lo sappiano.

  • Al di là di Racconti Edizioni, come definireste Stefano ed Emanuele?

[Stefano] Quello bravo e che tiene in piedi la baracca dando i riff è Emanuele, che è un po’ il James Hetfield di Racconti, io come Kirk Hammett uso il wah wah a sproposito e colleziono reperti del miglior peggior cinema di serie b.

[Emanuele] Stefano è un liberale. Io in realtà vorrei essere Method Man, ma ormai è tardi e non ho più il fisico.

  • La pubblicazione di Racconti Edizioni di cui andate più fieri?

[Stefano] Ce ne sono tante e non è detto che siano quelle che sono andate meglio. In generale, come quando si chiede ai musicisti qual è il loro album preferito, la tentazione è di rispondere che è sempre la prossima. Io sono particolarmente orgoglioso del lavoro che abbiamo fatto su un autore che era dimenticato e che invece tanto ancora aveva da dire come James Purdy. Ma anche aver portato in Italia pezzi di America e di futuro come Sabrina & Corina di Kali Fajardo-Anstine o LOT di Bryan Washington non è una brutta stella da appuntarsi in petto. E poi il lavoro sugli italiani, il recupero della tradizione nera americana, gli irlandesi. Dài, qualcosa di buono l’abbiamo fatto.

  • Com’è strutturata attualmente la casa editrice?

[Emanuele] Io e Stefano non abbiamo una vita, ci occupiamo di ogni aspetto della casa editrice. Per l’ufficio stampa abbiamo rapito una ragazza molto brava e caritatevole: Carmen Compare, che ha migliorato non solo la presenza di Racconti sulla stampa, ma le nostre stesse esistenze. Una casa editrice è uno strano organismo e i suoi confini sono labili. Spesso l’anima di un progetto editoriale la fanno persone che non ti verrebbe in mente di nominare ma che gravitano e muovono le pubblicazioni semplicemente attraverso il loro modo di vedere i libri e la letteratura. Non credo sia più tempo degli editori protagonisti – magari lo fosse – credo invece che il lavoro cosiddetto “creativo” oggi sia demandato a un qualcosa che assomiglia a una nebulosa, un cervello collettivo e spesso, va detto, anche a una prassi impostata dall’alto, dalle leggi del mercato e da quanto siano diventate rigide in ognuno di noi.

  • Come si svolge il processo di lavoro all’interno di Racconti Edizioni?

Si lavora come tutti su due binari: uno è quello dell’Immediato e l’altro è quello della pianificazione e costruzione del futuro. I libri che stiamo promuovendo con i librai, di cui parliamo ai giornalisti e che spingiamo ai lettori oggi sono comunque stati prima letti e amati, poi messi a budget e acquisiti, in seguito tradotti, editati, lavorati redazionalmente, bozzati maniacalmente, raccontati alla promozione e ai librai di fiducia, raccontati attraverso le illustrazioni e i paratesti, confezionati in stamperia, infine spediti in magazzino, stoccati e redistribuiti dalla parte di questa filiera che soffre di più, quella della logistica. Arrivati all’oggi i libri possono contare su un paio di mesi di attenzione (a esagerare) della stampa e del pubblico di lettori, ma noi cerchiamo di lavorare scegliendo libri fatti per restare e che non siano vittima di questo ciclo di avvicendamento continuo, libri che possano essere letti come novità anche fra due, tre, cinque, dieci anni. Oggi raccontiamo la nostra ultima uscita, Neroconfetto di Giulia Sara Miori, e pensiamo già a cosa farvi leggere quest’autunno e il prossimo inverno.

  • Un consiglio per chi vuole lavorare in editoria o meglio, aprire una casa editrice?

Non siate intellettuali. Cercate di odiare i libri, perché se non sapete odiarli allora significa che non siete nemmeno capaci di amarli. Cercate di capire il sistema e di smantellarlo senza perdervi nelle limacciosità dell’ideologia spiccia. Siate ingegneri. Trovatevi un posto silenzioso.


Chiara Gianferotti, laureata in lingue per l’editoria, si occupa di traduzione e comunicazione freelance. I libri sono sempre stati il suo pane quotidiano e grazie al percorso di formazione in editoria di minimum lab ha capito quale ambito lavorativo di una casa editrice fosse quello giusto per lei.

Questa intervista inaugura una nuova rubrica della sezione percorsi editoriali: le nostre corsiste e i nostri corsisti incontreranno professionisti e attori della filiera editoriale per una serie di interviste che accompagneranno tutto il nuovo anno del percorso di formazione in editoria.

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