Impara l'arte: tre domande a Luca Briasco
sulla formazione editoriale
Inauguriamo con le risposte di Luca Briasco una nuova rubrica: si chiama impara l’arte e vuole raccontare, in breve, i percorsi di formazione che hanno portato i nostri docenti a diventare dei professionisti nel loro mestiere.
Con Luca Briasco – editor, direttore editoriale di minimum fax e traduttore – ci concentreremo sulla professione dell’editor e quella del traduttore: è in questi due ambiti che la sua esperienza viene trasmessa nei nostri corsi, rispettivamente nel modulo di Editing | Il lavoro sul testo e nel Laboratorio di traduzione letteraria.
Da chi hai imparato di più nel tuo percorso professionale?
La persona da cui ho imparato di più è Severino Cesari: ho lavorato per dieci anni in Einaudi Stile Libero e avevo con lui un rapporto da fratello minore a fratello maggiore. Lui mi ha insegnato tutto quello che so di editing testuale, ma soprattutto mi ha insegnato lo sguardo: da lui ho imparato la curiosità e la totale mancanza di paratie fra i vari tipi di letteratura. Da lui ho capito che esistono solo libri buoni e libri meno buoni, libri che parlano e libri che non lo fanno, e che i secondi si possono trovare ovunque.
Questo insegnamento me lo sono portato dietro sempre, e cerco di applicarlo anche ora a minimum fax.
Qual è la cosa più importante che cerchi di insegnare nei tuoi corsi?
La cosa più importante è il realismo: non si può fare tutto ma bisogna anche saper rinunciare ai libri, bellissimi, ma non adatti; non è vero che quando fai l’editor leggi tranquillo in panciolle e non è vero che l’editor legge e basta, ma deve essere anche un animale sociale, in grado di trattare con gli altri.
Cerco di insegnare ai miei allievi a essere realisti, perché l’editore è un mestiere bellissimo ma come tutti i mestieri il suo fine ultimo è far quadrare i conti. Io mi devo preoccupare della sostenibilità di un’impresa di cui sono socio, per la quale lavorano diverse persone che vanno remunerate, che ha dei conti che vanno fatti quadrare ogni anno.
Rimane uno dei mestieri più belli del mondo, ma senza realismo non è praticabile.
E tu cosa hai imparato dai corsisti?
Ho imparato molto dalle persone incontrate in questi anni di docenza nei corsi di editing e traduzione: a me piace molto chiedere agli allievi da dove vengono, prima ancora di iniziare la lezione. La diversità delle esperienze che convergono in un corso di editoria mi fa capire quanto poi la passione per la letteratura e per i libri sia trasversale, e come questa interagisca con il vissuto di ciascuno. Ho incontrato persone che venivano da realtà di ogni tipo, e spesso e volentieri quelle più intellettualmente curiose provenivano da percorsi che non erano di tipo nettamente letterario. Come se la letteratura, per chi traduce e per chi vuole fare l’editor, sia una gigantesca camera di compensazione: è stato così anche per me, mentre facevo altri lavori, tornare a casa la sera per leggere e tradurre è stata una salvezza. Ritrovo questa speranza anche in altre persone e quando accade provo un vago intenerimento per loro e, insieme, per il mio passato.
Per quello che riguarda i corsi di traduzione, poi, imparo anche in modo molto più concreto, perché non esiste una traduzione uguale all’altra e non esiste una sola traduzione giusta, ma ce ne sono diverse per sfumature, toni e scelte. Quindi durante i corsi di traduzione imparo nuove soluzioni, perché tutti quelli che traducono hanno soluzioni intelligenti e brillanti che magari a me non sono venute in mente. È dal confronto con ognuna delle soluzioni proposte che mi arricchisco ogni volta: non si smette mai di imparare, il processo di traduzione – come quello da editor – è un apprendimento costante, solo chi riesce a mantenersi sempre aperto a questo apprendimento può migliorare.