Nichelini: tre consigli (più uno) da Emanuele Giammarco

Nichelini: tre consigli (più uno) di editing
da Emanuele Giammarco

Emanuele Giammarco, co-fondatore di Racconti edizioni, traduttore e editor, è l’ospite del secondo appuntamento della rubrica i Nichelini – brevi suggerimenti, consigli, dritte per chi scrive e per chi si avvicina al mondo editoriale da parte dei nostri docenti e di scrittori e professionisti.

I suoi sono consigli per chi vuole affrontare quell’incredibile forma letteraria che è il racconto.

Su questi temi, Emanuele Giammarco, insieme a Stefano Friani, terrà il corso La forma letteraria del racconto: scrivere racconti e progettare una raccolta.

0) Pensare al contrario

1) Non scrivere racconti
Ovvero: non scrivere “forme letterarie” prima di voler scrivere “storie”. Gli elementi di una storia – personaggi, ambientazione, eventi, moventi – esigono un loro spazio preciso. Ciò che è ancora informe per lo scrittore è in realtà già formato di per sé entro alcuni aspetti. Quest’informe modella la forma letteraria successiva. Prima si partorisce, poi si educa. Cominciare sempre dalla storia, confrontarsi con essa a lungo, scrivere nella mente.

2) Capire cosa sia sacrificabile
Dando per scontato che il suddetto confronto avviene in modo trasparente (cosa che non è, leggere Zadie Smith al riguardo) capire cosa sia sacrificabile. Il racconto ha una sua implicita soglia di sacrificabilità. Anzi, è la forma eucaristica della scrittura: esige ed esibisce, indirettamente, un sacrificio. Se i personaggi della vostra storia non si accontentano di pochi aggettivi per essere descritti, se il vostro setting non intende limitarsi al primo paragrafo né vuole essere ricavato, dedotto da un contesto fatto di dialoghi e azioni, allora è probabile che la vostra storia non voglia trasformarsi in un racconto. Saggiate la sacrificabilità della vostra storia. Nonché, ancora più importante, la vostra.

3) Raccontare l’illibertà
Dai resoconti sulla scrittura di molti raccontisti si possono evincere una serie di caratteristiche comuni tipiche della forma breve. O’Connor, Carver, Piglia, Cortàzar, parlano tutti di “necessità”, di carattere “destinale” del racconto, di “meccanismo implicito”, di “geometria”, “circolarità” del racconto. Insomma il racconto sembra manifestare una vita propria, addirittura tendere delle trappole, persino allo scrittore che ne guiderebbe il timone. Ciò che non è sacrificabile in un racconto del resto, sintetizzando brutalmente, è la storia stessa, o meglio il suo meccansimo. Pensate a un sistema di riferimento e mettetelo in crisi: Un uomo si sveglia insetto immondo, un impiegato si sveglia e decide di tornare a casa percorrendo le piscine dei vicini, un impiegato si sveglia e decide di preferire di no. Anche laddove ci sono decisioni, esse non sembrano prese su base esattamente volontaria, esattamente libera, esattamente autocosciente. Insomma, raccontate l’illibertà, che poi è molto più attuale, innit?

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