L’autrice
Chiara Ventimiglia, avvocato per scelta, scrittrice per caso e aspirante
editor per folgorazione sulla via di Damasco, vorrebbe trascorrere la
seconda metà della sua vita fra i libri anziché in mezzo ai codici.
L’editor
Gabriele Nucatola è nato 25 anni fa a Palermo, dove tuttora vive e lavora. Quando non è in ufficio, legge e ogni tanto scrive. Aspirante editor, vorrebbe prendersi cura delle parole degli altri, che trova più interessanti delle sue.
Il racconto
Una madre preziosa è uno dei racconti nati dal laboratorio di narrativa (edizione 2022) e poi rivisto, come gli altri, in un laboratorio editing con gli allievi del percorso di formazione in editoria.
Un madre preziosa, un racconto di Chiara Ventimiglia
Alle cinque del mattino, Ada stava aprendo un occhio, allungando la mano verso la schiena sconfinata di Giovanni, quando il cellulare squillò e la luce del display mostrò un numero sconosciuto.
“La signora Ada Conforti?” disse una voce rigida dall’altro capo del telefono.
“Sì, sono io. Chi parla?”
“La questura di Genova. Abbiamo necessità di vederla immediatamente, riguarda sua madre.”
Dopo averle rovinato la vita, quella strega le aveva rovinato anche l’unica notte di fuoco che avesse avuto da tre anni: sarebbe stato meglio che ci fosse un buon motivo per convocarla, non la solita lite di quella scriteriata gattara con i vicini a causa del degrado del giardino.
Il buon motivo c’era questa volta, ed era il cadavere di sua madre sul viottolo in pietra del giardino. La donna giaceva supina a braccia larghe, con gli occhi sbarrati e con la vestaglia di seta rimasta aperta. Poteva sembrare un uccello caduto dal cielo, ma il martello ancora conficcato nel cranio confutava tale ipotesi. Dalla piega perfetta dei capelli si allargava un lago rosso nel quale i protetti di sua madre erano entrati disegnando decori sulla vestaglia con le zampette. Ada notò un biscotto al cacao sbriciolato accanto al piede nudo della defunta. Inusuale, dato che era diabetica.
“Signora, sta bene? Mi deve confermare che è sua madre per il riconoscimento”, sussurrò l’agente al suo fianco, mettendole una mano sulla spalla.
Ada fissò ancora un istante il corpo e rispose con una stretta risata: “Sì, è quella pazza di mia madre, Rina Demarchi. Non la vedevo da anni, che potesse finire sfracellata da un parapendio me lo aspettavo, ma così proprio no.”
Un’ora dopo era seduta in una stanza della questura. Il commissario le offrì un bicchiere d’acqua, si sedette di fronte a lei e si aggiustò gli occhiali: “Mi spiace per la sua perdita, signora Conforti, faremo tutto il possibile per trovare il colpevole”.
“Per premiarlo di avere eliminato la megera?”
Di fronte alla mascella spalancata del commissario, si alzò in piedi di scatto e si corresse: “No, non capisca subito male! Non ci vedevamo da anni, avevamo litigato.”
Il commissario appoggiò i gomiti sulla scrivania e alzò gli occhi al soffitto: “Signora, se sta cercando di vincere il premio per il miglior sospettato, è sulla buona strada…”
“Ha ragione, scusi” proseguì sedendosi di nuovo con calma, aggiustando la gonna “mia madre era una persona difficile, io e mio fratello abbiamo passato la vita a cercare di compiacerla e per lei non eravamo mai abbastanza”.
Sospirò.
“Ha sabotato tutte le relazioni mie e di mio fratello Giulio. Quando avevo trovato l’uomo giusto si è rifiutata di prestarmi il denaro per aprire l’agriturismo dei nostri sogni, dicendo che lui non era adatto a me. Da allora ho tagliato i ponti e lo stesso ha fatto Giulio”.
Il commissario socchiuse gli occhi in una fessura sottile e serrò le labbra.
Le parole le uscirono rincorrendosi, spinte dal panico: “Se pensa che io l’abbia uccisa per denaro si sbaglia di grosso, può controllare i miei estratti conto, mi sono fatta il mazzo e ora probabilmente sono più ricca di lei.”
Raccolse furiosa da terra la borsa ed estrasse il cellulare: “E se vuole, le do il numero del tizio che mi sono fatta ieri sera così controlla il mio alibi.”
Il commissario avvampò: “Ma no, stia calma, le sto facendo domande di routine.”
Si tolse gli occhiali e si allungò sulla sedia: “Ricominciamo, su. Ho bisogno di informazioni e una seduta psicanalitica non ci aiuterà a trovare il colpevole. Aveva nemici, che lei sappia?”
Ada riprese il controllo, arrossendo anche lei per la frase pronunciata: “So solo che mia madre era in lite con i vicini per colpa dei gatti che accudiva in giardino. Qualche volta mi chiamavano affinché intervenissi, ma dopo che lei mi aveva urlato che ero un’assassina di felini – proprio così – ho deciso che non me ne sarei più occupata.”
Assassina di felini. Solo sua madre poteva usare un linguaggio così fantasioso, era una persona impossibile ma anche ineguagliabile a modo suo, pensò.
Tirò fuori dalla borsa un fazzoletto per asciugare una lacrima ribelle, mentre un mezzo sorriso appariva all’angolo della bocca: “Non è stata una madre modello, questo è sicuro, ma sapeva godersi la vita in pieno. La invidiavo un po’ per questo.”
“E suo fratello? In che rapporti era con sua madre?”
“Oddio Giulio! Ero così confusa che non l’ho avvisato!” disse mettendosi le mani nei capelli ancora attorcigliati dalla battaglia notturna. Cercò di ignorare che quella sequenza di gaffe la faceva sembrare più che sospetta.
“Stia tranquilla, lo abbiamo chiamato noi. La sta aspettando fuori, sentiremo anche lui. Per ora basta così, la ringrazio, è evidente che è sconvolta.”
Ada non sentì il bisogno di chiarire che era solita dire le cose sbagliate al momento sbagliato. Come aveva sempre detto sua madre.
Il commissario le fece firmare il verbale e l’accompagnò alla porta, raccomandandosi di restare a disposizione.
Fuori dalla porta la aspettava Giulio, appoggiato al muro con le braccia conserte e gli occhi asciutti. Quando la vide le corse incontro e l’abbracciò. Anche in quel momento Ada non poté non notare che suo fratello, come sempre, vedeva l’acqua e il sapone solo da lontano e che alla giacca mancava un bottone.
Quando sciolsero l’abbraccio, Giulio iniziò a camminare spedito verso l’uscita, costringendo Ada a corrergli dietro. Le labbra secche eruttavano parole: “Hai visto, qualcuno finalmente le ha dato quel che si meritava. Sei già stata in casa? Come facciamo con il funerale? E l’eredità? I gatti li spediamo al gattile, vero? Ci vuoi abitare tu o posso andare io in casa di mamma?”
Ada si gelò e si fermò un momento nel mezzo del corridoio, poi lo rincorse e lo prese per un braccio. “Giulio ma che ti sei fumato? Nostra madre sarà stata anche una donna impossibile ma non ti pare di correre un po’ troppo? Anch’io non riesco a piangere, ma un po’ di rispetto almeno. Cristo santo, non ti interessa sapere chi l’ha uccisa e perché?”
I due fratelli tacquero fissandosi nel mezzo dell’ingresso della questura, mentre ai loro lati le persone che entravano e uscivano li scostavano a fatica. Giulio parve riprendersi solo quando un armadio di due metri lo spintonò così forte da farlo cadere addosso alla sorella.
“Scusa, hai ragione” disse asciugandosi il sudore dalla fronte e passandosi un dito nel colletto della camicia “Probabilmente in fondo sono sconvolto anch’io.”
La ragazza fissò l’orologio sopra la guardiola. Passò un minuto intero prima che riuscisse a parlare.
“Lo so che la odiavi. Io non ci sono mai riuscita davvero, anche se ci ho provato.”
Giulio si tolse lentamente dalla giacca le briciole dei crackers che aveva preso al distributore. “Non è così, esageri.”
“Però dobbiamo andare a casa sua” riprese con la foga che sembrava averlo abbandonato “dobbiamo capire se ha lasciato qualche indicazione per il funerale o la tomba. E, insomma, dei soldi… Lo sai che io non ho… ecco… fondi” aggiunse distogliendo lo sguardo da quello della sorella.
Se dal punto di vista lavorativo lei aveva preso un ascensore ed era arrivata ai piani alti, suo fratello invece era sceso in cantina e c’era rimasto. Mai un lavoro fisso, imprese economiche fallimentari. Ada aveva sospettato anche che si fosse rivolto a qualcuno di poco raccomandabile, quando gli aveva prestato l’auto per un incontro importante fuori città e lui l’aveva restituita con i finestrini spaccati, ma la rabbia di doverli riparare aveva preso il sopravvento sulla preoccupazione.
Ada gli prese la mano: “Va bene dai, dovranno fare l’autopsia, ma la casa non è stata messa sotto sequestro. Intanto che aspettiamo che ce la ridiano per il funerale, andiamo a casa e cerchiamo di capire qualcosa.”
Il viaggio fu silenzioso e silenzioso fu l’arrivo a casa. Scesero dall’auto, dall’altra parte del giardino li fissava la signora Bertini, la custode del decoro del vicinato, che tante volte aveva chiamato i vigili per lamentarsi dell’odore e della sporcizia. Nemmeno lei ruppe il silenzio con una mezza parola di condoglianze, continuò a guardarli masticando piano un biscotto che aveva preso dal pacco che reggeva in mano. Chissà se la polizia l’avrebbe sentita, pensò Ada, una persona talmente gelida da tacere e ruminare di fronte a due figli che hanno appena perso la madre vincerebbe di certo il premio per il miglior sospettato.
Il rumore si alzò improvviso all’ingresso in casa, quando i due vennero circondati dai gatti affamati e miagolanti che impedivano loro ogni movimento.
“Ada fa’ qualcosa!” strillò Giulio con nervosismo.
Lei si fiondò in cucina, versò il cibo sul pavimento e furono finalmente liberi.
Giulio si guardò intorno senza toccare nulla: “Pensi che i documenti siano sempre al solito posto?”
Ada alzò le spalle: “È tutto uguale a come è sempre stato, non vedo perché avrebbe dovuto cambiare. Va’ a vedere nel freezer.”
Giulio si diresse in cucina, aprì lo sportello e frugò dietro a due barattolini di ragù surgelato e a un avanzo di polpettone.
Estrasse insieme alla mano gelata un sacchetto di plastica.
“Eccolo!” esclamò con un’alzata di sopracciglio. Corse verso il tavolo della cucina e ci versò sopra il contenuto ritrovato, non prima di aver fatto volare verso il lavello con una manata il gatto che ci era appena salito sopra.
Ada si avvicinò, sul tavolo si allargavano diversi fogli e una busta, conditi da polvere di ghiaccio.
Giulio iniziò a guardare i fogli uno dietro l’altro, sparpagliandoli sul tavolo. Cercò più volte dentro al sacchetto: “Non ci sono i gioielli, dove li avrà messi? E questo cos’è? Un estratto conto?” Lo lesse, sbiancò e ricadde sulla sedia: “Mille euro aveva sul conto… dove sono finiti i trecentomila che aveva?” Riprese a cercare con le pupille dilatate “Non ci sono investimenti, dove ha messo i soldi?”
Con mani tremanti iniziò a scartabellare i fogli mentre Ada, avvicinandosi, prese la busta rosa sulla quale c’era scritto con grafia curata “Ada e Giulio”. La aprì lenta, poi scoppiò a ridere tanto che dovette appoggiarsi al tavolo con una mano per non cadere.
Porse il foglio a Giulio: “Mamma ha donato tutto al gattile, casa compresa. Si è già pagata il funerale. Ha sganciato tremila euro per fare circondare la bara da mazzi di rose, ha disposto la cremazione e scelto l’urna. A forma di gatto. A noi resta solo quella con le sue ceneri.”
Suo fratello lesse e svenne, andando a cadere con la faccia nelle ciotole sparse sul pavimento.
Il corpo venne loro restituito sei giorni dopo. Il funerale fu memorabile, quella disgraziata sapeva il fatto suo, pensò Ada, almeno era donna di carattere, non come quella larva di suo fratello che dal giorno dell’apertura della busta aveva perso la parola.
Il giorno della cremazione Giulio pareva più composto, si era anche cambiato i vestiti e fatto la barba. Aprì bocca per la prima volta in una settimana: “Vorrei tenere con me le ceneri di mamma.”
Ada aggrottò la fronte “Ah, se proprio vuoi…”
Arrivata a casa si ricordò di avere con sé i documenti di custodia delle ceneri e imprecò. Sarebbe stato meglio darli subito a suo fratello e malvolentieri si rimise in auto.
Arrivata, suonò alla porta di casa e, non ricevendo risposta, girò la maniglia per entrare. Era aperta.
E vide qualcosa che non avrebbe mai pensato di poter vedere.
Suo fratello aveva aperto l’urna di sua madre e, prendendo le ceneri con una paletta, le pesava su una bilancia da cucina. Sul tavolo c’erano già tre mucchietti ben accatastati, dietro di loro un pacco di Oreo aperti.
“Giulio che fai?”
Lui alzò lo sguardo vacuo e sibilò: “Lo sai che un corpo cremato può dare quattro chili di ceneri? E che ne basta mezzo chilo per fare un diamante bellissimo?”
“Ma come ti è venuto in mente?” mormorò Ada mentre gli si avvicinava.
Giulio sbottò gettando le braccia in alto, mandando per aria i mucchietti: “E certo, ha dato tutto via prima, con tutta la fatica che ho fatto a ucciderla devo proprio rimanere senza niente?”
I due fratelli rimasero in silenzio a fissarsi in una nebbia di ceneri.
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