Voce, lingua e personaggi: la lezione aperta di Fabio Stassi, Remo Rapino e Graziano Gala
Per inaugurare il laboratorio di narrativa si sono tenute tre lezioni aperte che affrontano alcuni aspetti importanti della scrittura. Questo è il racconto del primo incontro con Fabio Stassi, Remo Rapino e Graziano Gala, che introduce i temi che verranno affrontati nel modulo Il narratore. Riflessioni pratiche sulla voce che racconta la storia.
di Valentina Scelsa
L’ispirazione messaggera di voci, la lingua popolare, la vergogna. La fiducia cieca nel farsi scatola vuota e accogliere e dar forma a una storia, la follia imprescindibile. L’immaginazione, i personaggi e i fantasmi. L’importanza di vedere l’invisibile, la Storia e le storie, il rapporto con i documenti. L’onestà sulla pagina, la musicalità della scrittura, l’amore: questi gli argomenti principali di una lezione online aperta molto partecipata con Graziano Gala, Remo Rapino e Fabio Stassi. Gli interventi degli scrittori si sono susseguiti in una jazz jam session di assonanze, intuizioni e considerazioni sui temi fondamentali della letteratura, per meglio comprendere il processo creativo della scrittura e la direzione in cui sta andando la lingua.
Ispirazione
Fabio Stassi inizia la lezione parlando dell’ispirazione, il punto di partenza per far venire alla luce una storia, e lo fa citando Antonio Tabucchi, per il quale l’ispirazione è imprescindibile. In Zig zag: Conversazioni con Carlos Gumpert e Anteos Chrysostomidis Tabucchi scriveva: «Insomma, mi pare chiaro che ci sono delle persone che sono visitate da voci, voci interne, e forse io sono una di quelle persone. Per fortuna, questo non accade sempre, solo ogni tanto, perché altrimenti sarei finito in un ospedale psichiatrico».
Remo Rapino cita Se una notte di inverno un viaggiatore di Italo Calvino, romanzo meta-letterario in cui i capitoli sono incipit di altri romanzi e i cui titoli letti in sequenza formano l’incipit di un altro romanzo ancora, e sottolinea come una storia inizi sin dal primo rigo, ci sia già, in attesa di essere raccontata sotto la spinta dell’ispirazione.
Graziano Gala la pensa così: alla scrittura non si può approcciare con una razionalità eccessiva, scrivere non è matematica. Dopo l’ispirazione si diventa artigiani, si dà forma a una storia con fervore non diverso da quello del ciabattino del suo paese, che con umiltà e passione lavora alle sue scarpe. L’ispirazione ha iniziato ad abitarlo dopo aver letto una frase, l’ultima, di Nottetempo, casa per casa di Vincenzo Consolo: «Avrebbe dato ragione, nome a tutto quel dolore». Da questa frase è nato Giuda, il protagonista di Sangue di Giuda.
La notizia di un fatto di cronaca avvenuto dopo la pubblicazione del romanzo ha scatenato la sua ilarità: in Irlanda del nord un uomo entra in un negozio di elettrodomestici, sceglie un televisore, lo prende e esce indisturbato senza pagare, proprio come fa Giuda all’inizio del romanzo. «L’altra sera s’hann arrubbato ’o televisore»: inizia così la storia di Giuda, con la sparizione di un televisore e la necessità vitale di sostituirlo, in un crescendo di eventi gustosissimi sempre più comici e allo stesso tempo tragici, raccontati dallo stesso Giuda, il matto del paese, in una lingua inventata che incarna la musicalità del dialetto del sud e la semplicità della sofferenza dei puri e degli ultimi che lottano per il riconoscimento della propria dignità.
Le storie frutto di ispirazione hanno un loro grado inequivocabile di verità perché i personaggi creati diventano reali e dunque le loro storie non sono bugie.
Anche il protagonista di Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio di Remo Rapino, vincitore del premio Campiello 2020) è un ultimo, un poveraccio, un cocciamatte, è il pazzo che tutti deridono mentre cammina per un paese meridionale di basalto senza nome. Lui è quello strano che parlando con voce sgarbugliata ci racconta la storia del Novecento attraverso la storia della sua vita intensa e disgraziata: la scuola, l’amore, la guerra e la Resistenza, il trasferimento a Milano, i lavori insensati e faticosi nelle fabbriche, le case chiuse, l’impegno politico e l’iscrizione al sindacato per sentirsi parte di qualcosa, l’esperienza del manicomio in cui si sente tra pari e dove ascolta per la prima volta la frase del direttore «Però, non sei mica tanto matto.» che è per lui rivelazione, motivo di immenso orgoglio e presa di coscienza. La solitudine che non lo abbandona mai e poi la vecchiaia. Liborio affronta tutto questo con coraggio senza mai piangersi addosso, con la sua visione del mondo poetica e semplice, primordiale e sognante, raccontata da lui stesso nella sua lingua d’invenzione dal ritmo impetuoso che è un flusso parlato del sentimento e dell’umanità, un fiume in piena di parole gergali fantasiose anche di origine storica di travolgente musicalità.
A Stassi piace l’immagine del ciabattino di Gala: non può che portargli alla mente quella del puparo che è falegname, fabbro, pittore, ingegnere, sarto, musicista, attore. È tutti questi mestieri insieme, è artigiano e artista.
L’associazione mentale che arriva spontanea è quella con il suo Mastro Geppetto (Sellerio, 2021) in cui il protagonista è un padre, un falegname, alla ricerca disperata del figlio, un burattino. La storia è una metamorfosi contemporanea del romanzo di Carlo Collodi, una favola capovolta dolorosa e vera scritta in un linguaggio ricercato e poetico, in cui il falegname, uomo ingenuo e visionario, combatte contro un mondo crudele che lo disprezza e che deride il suo desiderio struggente d’amore, di paternità. Padre e figlio nascono insieme e Geppetto, che è anche madre, non smetterà mai di desiderare di girare il mondo con una marionetta, da mastro falegname vuol diventare alla fine della vita un mastro burattinaio. Geppetto nasce dalla figura dello zio dell’autore, malato di Alzheimer, dal suo ricovero e dall’isolamento estremo durante la pandemia. Come lo zio, Geppetto perde la memoria e la voce e rinascerà solo quando recupererà, anche se per poco tempo, l’uso del linguaggio: sono le parole che ci rendono umani, cercando con cura e trovando quelle giuste si può raccontare quello che succede agli ultimi, gli irriducibili che lottano per non essere cancellati dal mondo dando finalmente voce al loro riscatto.
Farsi scatola vuota, contenitore di storie
Lo scrittore, come l’attore, secondo Stassi deve farsi scatola vuota, contenitore di storie da disseppellire. E tutto questo ha a che fare con la follia.
Secondo Rapino essere contenuto è farsi carico della sofferenza perché la scrittura è in primo luogo una forma d’ascolto.
Per Gala chi scrive non ha merito, presta il suo corpo a qualcosa che lo possiede, per dare voce agli ultimi. Per farsi carico del dolore dei dimenticati.
Gala riflette su quanto sia faticoso far albergare dentro di sé storie dolorose, all’inizio si è preda dell’emozione come il fanciullo di Pascoli, poi c’è la sofferenza. Ci vuole una fiducia cieca per affrontare tutto questo. Ci si deve sporcare le mani con la miseria e il dolore, restituirli integri, non edulcorati da un linguaggio che li mondi delle imperfezioni che li rendono veri.
Stassi ci parla anche di un altro modo di farsi contenitore di storie altrui, quello di Svetlana Aleksievič, premio Nobel per la Letteratura 2015, con il suo Preghiera per Černobyl del 2001 (nel 2004 edito in Italia da e/o). Un libro che è la testimonianza umana e atroce di un popolo che ha fatto della scienza il proprio dio e che da quel dio è stato tradito. La scrittrice ascolta le testimonianze senza commentare, raccoglie le storie dei sopravvissuti, vittime di chi, senza scrupoli, ha usato gli uomini come mezzo.
Linguaggio
Per Gala si deve scavare nello stomaco con un linguaggio che non è l’italiano ma una lingua dialettale e sporca capace di sviscerare la vergogna. Ci racconta di alcuni suoi studenti, stranieri o ragazzi ai margini, che non scrivono in italiano corretto ma non è che non sappiano scrivere. La loro è semplicemente una lingua diversa che merita lo sforzo di essere compresa perché ricca di vita e musicalità.
A questo punto interviene un’ospite a sorpresa, Veronica Galletta, che grazie a un impegno saltato si è potuta unire a noi: quando era piccola, essendosi ritrasferita dalla Sardegna alla Sicilia, di cui è originaria, ha iniziato a scrivere le parole raddoppiando le lettere. Solo adesso capisce che lo faceva per la nostalgia del suono, della musicalità del parlato sardo.
Stassi ricorda che Pier Paolo Pasolini in Ragazzi di vita come in altre opere ha usato il dialetto per dare voce ai suoi personaggi e alle loro emozioni, alla gelosia, all’invidia, al senso di colpa, alla disperazione. Alla vergogna. C’è una paura più grande delle altre, un pescecane di Pinocchio, in ogni età della vita. Il suo pescecane da bambino era appunto la vergogna.
Rapino sottolinea il fatto che lui, Stassi e Gala sono tre scrittori popolari. Per loro il flusso del parlato, il linguaggio sporco e dialettale è il linguaggio che meglio si presta a far parlare gli ultimi. Questo linguaggio gli fa tornare in mente l’immagine delle case di terra, fatte di argilla, paglia e legno, realizzate con un impasto povero che diventano però costruzioni solide e, come ci fa notare Galletta, spesso più antisismiche di quelle realizzate con tecniche moderne.
Per lo scrittore Pietro Scaramuzzo, anche lui presente alla lezione e autore di Tropicalia, il cuore di un testo è nel ritmo del linguaggio, nella sua musicalità: la scrittura è musica, e si deve scrivere in levare. Il suo libro parla della rivoluzione estetica e musicale del Brasile negli anni Sessanta che prende il nome di Tropicalismo, sintesi rivoluzionaria tra la grande tradizione della samba e della bossa nova e le nuove possibilità offerte dal rock e dal pop dei Beatles e di altre band britanniche, descrivendo un’epoca attraverso le sue evoluzioni musicali.
Personaggi, fantasmi e fotografi dell’invisibile
Per Veronica Galletta scrivere è ascoltare storie e riprodurle. Nel suo Nina sull’argine Caterina, giovane ingegnere alle prese con il suo primo incarico importante, deve affrontare, in un ambiente di uomini, difficoltà di ogni tipo: ostacoli tecnici, proteste ambientaliste, responsabilità per la sicurezza degli operai. Deve affrontarle mentre qualcosa dentro di lei, un argine interiore, cede, e lei è sempre più vulnerabile. Decide così di affidare tutto il suo spaesamento ad Antonio, un operaio di cantiere fantasma, cercando in lui consolazione. Questo fantasma l’ha ispirata prima della scrittura del romanzo e ha parlato con lei perché voleva essere raccontato. Era un fantasma che a suo modo esisteva e che lei ha difeso con decisione dalle accuse di poca credibilità.
Anche per Stassi i fantasmi esistono, sono personaggi a pieno titolo. I personaggi a volte sono frutto di ricordi che ci assalgono senza collegamento. A volte si scopre solo a distanza di anni perché si è scritta una storia, creato un personaggio. Come scriveva Tabucchi quando arrivano le storie e i personaggi si tratta di ispirazione. Nell’ispirazione dunque i confini tra reale e irreale sono labili, quello che conta è il grado di verità che ogni personaggio, ogni storia, porta con sé. Rapini aggiunge che guardare vuol dire anche vedere l’invisibile, essere fotografi dell’invisibile.
La storia e le storie
Quali sono le storie che vale la pena raccontare? Ci sono Storie e storie?
Stassi cita Consolo: «La Storia è una scrittura continua di privilegiati», ma chi racconterà le storie di tutti gli altri? Chi darà voce agli emarginati?
Per Rapino ogni personaggio ha un suo linguaggio e ogni storia, ogni uomo, il suo valore. La storia di Liborio è la storia di un singolo uomo e di tutti gli uomini. Nietzsche affermava che la Storia non esiste, esiste l’interpretazione.
Veronica Galletta aggiunge che ogni storia merita di essere raccontata. La cosa più importante è l’onestà sulla pagina. Ad ogni costo, soprattutto in questo momento storico in cui siamo bombardati dalla propaganda.
Che differenza c’è tra uno scrittore e uno storico?
Rapino crede che sia nello scrittore che nello storico debba esserci una giusta dose di follia: i matti non mentono. Come evidenziato nel Novecento la storia la fanno anche, se non soprattutto, le persone comuni. Liborio raccontando sé stesso racconta la storia di un secolo. L’ immaginario dei singoli individui è fondamentale per la grande Storia.
Anche il motivo per cui scrive lo storico è connesso in qualche modo alla sua storia personale, quello che cambia è lo sguardo. Mentre uno storico deve avere uno sguardo terrestre lo scrittore è un sognatore, e «il sognatore è un uomo con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole» come diceva Ennio Flaiano. Si può scrivere qualcosa che esiste realmente attraverso cose che non esistono, attraverso l’immaginazione.
Telemetro interiore e rapporto con i documenti
Stassi ricorda Gianni Mura che raccontando del Tour de France diceva che l’unica lezione da apprendere per un giornalista è imparare a guardare. Per scrivere narrativa è necessario un bilanciamento tra realtà e finzione, guardando alla realtà come faceva Sciascia, con gli occhi ben aperti. Si deve fotografare la realtà coltivando un telemetro interiore che faccia coincidere quanto più possibile quello che vediamo con quello che si sa.
Il rapporto con i documenti per Stassi è tellurico e sensoriale: la porosità della carta, l’odore del tempo sprigionato dalle pagine stimolano la connessione con la realtà delle cose, degli eventi passati.
Rapino riflette sul fatto che le storie dei personaggi importanti del passato sono costruite a partire da fonti, che a loro volta sono state attinte da altre fonti. Spesso non sono più che la somma di dicerie e pettegolezzi e poiché la Storia la scrivono i vincitori un registro parrocchiale può avere più valore di un testo considerato storico. Grande importanza hanno avuto per lui gli archivi del manicomio provinciale di Imola da cui ha attinto per la scrittura del suo romanzo.
La lezione si chiude con Rapino che ricorda Pasolini, quel suo registrare durante le interviste per le strade le voci anonime degli emarginati e dei reietti, per poi riportarle in vita sulla pagina con la scrittura. E con questa dichiarazione: «scrivere per far parlare gli ultimi è un atto d’amore».
Valentina Scelsa è nata e vive a Roma ma ha vissuto anche in Irlanda, Islanda, Milano, Trieste e nella Tuscia. Ha il ballo di San Vito dei traslochi. È laureata in filosofia e gestisce un centro di agopuntura. Ha iniziato a condividere i suoi scritti circa un anno e mezzo fa e suoi racconti sono presenti in antologie della casa editrice L’Erudita di Giulio Perrone Editore, Edizioni della sera e su varie riviste letterarie tra cui Il primo amore, Letterate Magazine, Malgrado le mosche, Neutopia, Rivista Blam, l’Irrequieto, Grande Kalma, Quaerere, ProVocazione.
La foto è di Dan Burton da Unsplash.