Dove mi metto a scrivere? Crea il tuo spazio di lavoro

Dove mi metto a scrivere? Crea il tuo spazio di lavoro

 

Definire un proprio spazio di lavoro, da occupare quando ci si dedica alla scrittura o in generale a quello che più appassiona, è un passaggio importante. In primo luogo perché raccogliere tutto quello che serve in un unico posto rende il lavoro più comodo, ed appare immediato farlo anche quando si ha a disposizione poco tempo. E poi perché arredare il proprio spazio significa dare un significato preciso agli oggetti che si usano, e quindi dare ancora più senso a quello che si fa.
Prendendo ispirazione dalla vita e dalle abitudini di alcuni scrittori, abbiamo individuato gli elementi essenziali che ogni spazio di lavoro dovrebbe avere, e soprattutto abbiamo provato a capire come usarli al meglio.

 

Uno spazio tutto per sé

Jane Austen è riuscita a ottenere uno spazio tutto per sé un bel po’ di tempo dopo aver iniziato a scrivere.  Poiché aveva una famiglia numerosa e molte delle stanze erano usate come camere da letto, scriveva in soggiorno, sullo scrittoio portatile del padre, approfittando dei momenti in cui era da sola e prestando orecchio al cigolio della porta, in modo da riuscire a nascondere rapidamente i fogli quando qualcuno si avvicinava. Fino a che, con la partenza dei fratelli, una delle loro vecchie stanze viene trasformata nel salottino (“la toeletta”) delle sorelle Austen. Solo allora la scrittrice può finalmente lavorare senza correre il rischio di essere interrotta, o peggio, di dover dare spiegazioni.

Se non avete la possibilità di avere una stanza tutta per voi, riservatevi un ripiano, una mensola, una scatola: trovare uno spazio per sé significa dare importanza a ciò cui si sta sacrificando tempo e fatica.

 

Finestra

«Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo dalla finestra sto lavorando?»

La frase (che suona vagamente misogina, certo) è attribuita a Joseph Conrad. Prima di darsi ai libri (in inglese), lo scrittore polacco lavorò come marinaio vedendo con i suoi occhi i paesi e i mari di cui racconta, e conoscendo moltissimi personaggi che hanno ispirato gli eroi, positivi e negativi, dei suoi libri.

Purtroppo non abbiamo modo di sapere su che vista si affacciasse la sua finestra (anzi, stando a questo resoconto, le sue due finestre): il mare, che gli ricordava le avventure vissute in gioventù? Oppure una strada affollata, che gli sottolineava la necessità di tradurre i dilemmi del lupo di mare in una lingua comprensibile ai lettori di terra? Di sicuro avere una finestra davanti agli occhi porta aria fresca e luce (non solo metaforicamente) su quello che facciamo.

Se siete curiosi, qui c’è una foto della scrivania di Conrad.

 

Sedia

Chi visita il cottage di Anne Hathaway (non l’attrice) nel Warwickshire può ammirare, in camera da letto, una delle tre sedie attribuite a William Shakespeare. La storia di ognuna di queste sedie, di legno di quercia, dal design classico e dalla seduta, almeno a occhio, non proprio ergonomica per uno scrittore, è alquanto intricata e piena di dettagli, ma ha un comune denominatore: il desiderio di credere che su quella sedia si sia realmente seduto Shakespeare, e che magari abbia scritto i suoi capolavori, e che quindi sedersi o anche solo guardarla possa servire da ispirazione.

Il concetto di “sedia dello scrittore” è un mito romantico, sicuramente affascinante, ma da maneggiare con cura: avere una sedia per accogliere l’ispirazione più comodamente è utile, ma insomma l’importante è darvi da fare e non mitizzare quello che fate. Dopotutto, se Ernest Hemigway (e non solo lui) a un certo punto ha deciso di scrivere in piedi avrà avuto le sue buone ragioni.


Fermacarte

Colette era solita lavorare a letto, non tanto per stare comoda, ma per aggirare i vari problemi di salute che la tormentavano nell’ultima parte della sua vita. Aveva accanto la sua vasta collezione di fermacarte, quasi tutti di cristallo, alcuni molto antichi e preziosi. Quando Truman Capote le fece visita, gliene regalò uno cui teneva moltissimo, con una rosa bianca.

Nello spazio di lavoro è bene avere anche qualcosa cui teniamo moltissimo, che ci rende felici maneggiare ma che saremmo ancora più felici di regalare alla persona che possa apprezzarlo. Perché, dopotutto, il bello di fare una cosa che ci piace è farla e basta.

 

Cestino per la carta straccia

«Il cestino della carta straccia è il miglior amico dello scrittore», diceva lo scrittore premio Nobel Isaac Bashevis Singer, che rincarava sottolineando come molti autori abbiano fallito proprio per eccessiva pietà verso sé stessi.

Insomma, va bene avere fiducia nelle proprie capacità, ma sbagliando si impara. E si migliora.

 

Scrivania

Nel suo saggio On Writing, Stephen King racconta come la trasformazione del suo spazio di lavoro, in particolare della scrivania, è avvenuta insieme con un percorso di maturazione personale, che lo ha portato a uscire dalle dipendenze e soprattutto a dare molta più importanza alle persone care che fanno parte della sua vita.

«Comincia così: sistemate la vostra scrivania nell’angolo, e tutte le volte che vi sedete lì a scrivere, ricordate a voi stessi perché non è al centro della stanza. La vita non è un supporto per l’arte, è il contrario».

Il fumettista Gaving Aung Than ha trasformato la riflessione dello scrittore in un breve fumetto (da cui è tratta la nostra immagine di copertina): leggetelo su Zen Pencils.

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