Quando la narrazione stravolge la realtà: i «Racconti» di Dürrenmatt a Casa d'altri
di Chiara Bisignano
“Pannichide” spiegò, paterno, “solo l’ignoranza del futuro ci rende sopportabile il presente. Mi ha sempre stupito questa fissazione degli uomini di voler conoscere l’avvenire. Sembrano preferire l’infelicità alla felicità. D’accordo, noi siamo vissuti di quest’inclinazione degli uomini, e io, lo ammetto, molto meglio di te, anche se non è stato poi così tanto facile fingermi cieco per tutte le sette vite che gli dei mi hanno donato. Però gli uomini preferiscono i veggenti ciechi e non bisogna deludere la clientela.
La Pizia, Friedrich Dürrenmatt
Il 9 gennaio il gruppo di lettura Casa d’altri si è riunito intorno ai Racconti di Friedrich Dürrenmatt, scritti dal narratore e drammaturgo svizzero dagli anni della seconda guerra mondiale al 1985. La raccolta testimonia l’evoluzione della scrittura di Dürrenmatt, tanto nello stile – che diventa via via più nitido – quanto negli intrecci, che si fanno sempre più coerenti e conchiusi. Nei racconti maturi personaggi e vicende si intersecano a formare un insieme complesso e minuzioso, in cui ogni elemento risponde a ogni altro – quasi si fosse in un giallo (genere che non a caso Dürrenmatt, nella sua attività di romanziere, ha attraversato e riformulato). Ma alla coesione della forma fa da contrappunto l’ambiguità dei contenuti: da qui il carattere perturbante di questi racconti. Che persistono, a lettura terminata, con il loro carico irrisolto di sensi e interrogativi.
Dürrenmatt affronta una pluralità di tematiche. Riflette sulle insensatezze e assurdità in cui incorre la giustizia umana (alle quali, suggerisce La panne, la compassione può offrirsi forse come rimedio, ma precario e tardivo). Indaga l’abisso del mondo uscito dalla guerra, e, più in generale, di una contemporaneità annichilita e disorientata, mossa da pulsioni grette e incontrollate – anche se talvolta toccata da un desiderio di riscatto. Mette a nudo, ne La caduta, i meccanismi perversi e implacabili del potere. Si domanda se, nel groviglio della storia e delle relazioni umane, sia possibile intercettare e correggere la forza dell’irrazionalità, o se invece non sia il caso ad avere infine la meglio. E realizza una rivisitazione del mito greco: ne Il Minotauro, dove il mostro metà toro e metà uomo compare insieme a Arianna e a Teseo, per cui la ragazza ha srotolato il filo nel labirinto; e ne La morte della Pizia, in cui è la doppia profezia fatta a Edipo – uccidere il padre e unirsi con la madre – a essere messa al centro.
Il lavoro sul mito portato avanti da Dürrenmatt è stato letto da Danilo Soscia – che ha guidato l’incontro – in una specifica chiave interpretativa.
Il minotauro – che Dürrenmatt ritrae in un labirinto di specchi, che ne rifrangono senza sosta l’immagine – potrebbe valere come una rappresentazione dello scrittore: sempre avvinto nel conflitto tra il proprio narcisismo e la spinta a impadronirsi di una materia altra dal proprio sé. La morte del minotauro, con la quale il racconto si chiude, trasfigurerebbe allora questa lotta nel suo momento conclusivo: dove lo scrittore, liberato dalla vanità, dallo sforzo del suo operare sulla realtà, e dalla frustrazione, prova sollievo.
Il suggerimento di Soscia ha innescato il dibattito, nel quale sono emerse ulteriori prospettive sul racconto. Tra queste l’idea che il minotauro – nel mito greco essere mostruoso, violazione delle leggi della natura e della morale – diventi, nelle pagine di Dürrenmatt, cartina di tornasole della bestialità umana. Il mostro descritto dallo scrittore svizzero appare infatti confinato in un se stesso che gli è estraneo e che non comprende; e mosso, nella solitudine di vetro in cui si trova, dal desiderio di incontrare un’alterità. Questa alterità crederà di averla trovata dapprima in Arianna – che non è in grado di accostare se non nella sopraffazione – e poi in Teseo mascherato da minotauro; dal quale sarà ucciso. Il minotauro di Dürrenmatt è parso quindi a alcuni lettori gettare luce su quel fondo di indifferenza e ottusità che fa parte del nostro essere uomini. Un fondo intorno al quale, nel racconto, il lettore è portato a vorticare insieme al minotauro. Fino a che per quest’ultimo l’asfissia del labirinto è sostituita da quella della morte – e il racconto si chiude, nell’attesa degli uccelli, che già volteggiano sopra al suo corpo.
Nel corso della discussione su Il minotauro è stata rilevata, inoltre, l’affinità tra la rielaborazione di Dürrenmatt e quella pensata da Borges con La casa di Asterione.
Soscia ha poi individuato un ulteriore luogo in cui, nelle pagine di Dürrenmatt, una figura del mito incarna l’attività dello scrittore. Avviene ne La morte della Pizia: dove la sacerdotessa, ormai anziana e stanca, che ha inventato per capriccio, e perché «seccata (…) dalla credulità dei greci» la profezia rivolta a Edipo, ha in sé l’essenza del narratore. La pizia infatti, a partire da un vuoto, in cui una scintilla irrazionale mette in moto una materia, inventa storie: vale a dire, narra. E le sue storie, come è proprio della letteratura, divengono qualcosa di vero: perché producono effetti nella realtà; stravolgendola, ridefinendola. Dürrenmatt quindi mostrerebbe qui, attraverso la lente allegorica del mito, il potere poietico della narrazione. Inserendosi in tal modo – ha osservato Soscia – nel filone metaletterario caratteristico della letteratura del ‘900. Filone che Dürrenmatt intercetta esplicitamente ne La panne, dove il sottotitolo del racconto, Una storia ancora possibile, allude ai tentativi di chi scrive di rintracciare, nel mondo, una materia ancora narrabile – che non sia il proprio sé.
Nella sua fase conclusiva la discussione ha toccato, in maniera più rapsodica, gli altri racconti della raccolta, proponendo nuovi spunti e osservazioni. È stata rilevata l’assenza di Dio dall’universo di Dürrenmatt – in cui i personaggi agiscono entro una completa immanenza; e osservata la mancanza di remore con cui lo scrittore scandaglia, e mostra al lettore, quanto di terribile ci sia nell’uomo. Alcuni lettori hanno invece notato l’impianto teatrale di alcuni dei racconti – portato del lavoro drammaturgico dell’autore; e altri sono stati incuriositi da quella che pare essere una particolare predisposizione della scrittura di Dürrenmatt all’adattamento cinematografico.
Il dibattito ha seguito, nella sua dialettica e vivacità, l’andamento – mosso, inquieto – di questa raccolta: che è dura, aspra nei temi toccati e negli avvenimenti a cui dà forma; e capace di suscitare in chi legge una messa in questione spaesante, e potenzialmente costruttiva.
Chiara Bisignano ha studiato filosofia a Roma e Firenze e insegna storia e filosofia nelle scuole superiori. Ha frequentato il nostro laboratorio di narrativa.
Casa d’altri è il gruppo di lettura di minimum fax dedicato ai libri pubblicati dalle altre case editrici. Il prossimo appuntamento è mercoledì 19 febbraio con Rossella Milone e «Una coltre di verde» di Eudora Welty (Racconti Edizioni). Qui trovi il diario degli incontri.